Si coglie un misto di sorpresa e d'incredulità nelle reazioni che, numerose, hanno accolto l'ultimo documento della Conferenza Episcopale Italia Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. E in verità, sono diverse le ragioni che giustificano il consenso ampio, registrato attorno a questo pronunciamento.
Per prima cosa, il linguaggio. I temi trattati affrontano in modo diretto le questioni che caratterizzano le regioni del Sud, senza nascondersi di fronte ai problemi e ai mutamenti di questo momento complesso e difficile della storia del Mezzogiorno, ma anche dell'intero paese. Ne è prova il paragrafo concernente la criminalità organizzata (numero 9), dove i diversi fenomeni sono trattati con lucidità e giudicati alla luce del Vangelo, con l'ammissione che alla denuncia di grandi figure profetiche e di testimoni coraggiosi non corrisponde una conseguente consapevolezza delle diverse realtà ecclesiali, tentate ancora dal desiderio di minimizzare i fenomeni o di coprirli con un silenzio complice. Nello stesso tempo, dal testo traspare una considerazione attenta della realtà del Mezzogiorno, animata dallo sforzo di capire una realtà composita e divisa tra la volontà di affrancarsi da un passato fatto di luci e di ombre e l'impegno di un riscatto morale.
Un altro elemento che ha convogliato sul documento il consenso diffuso di analisti e commentatori è probabilmente il fatto che esso, proprio per la sua indole apertamente pastorale, non si presta a facili strumentalizzazioni politiche o di parte. È difficile, infatti, non concordare sull'analisi e sulle prospettive disegnate e si richiederebbe tanta fantasia per affermare che i Vescovi italiani hanno offerto una sponda di collateralismo a questa o a quella formazione politica, a questo o a quel gruppo di potere. In effetti, il documento è frutto di un'azione congiunta di tutto l'episcopato italiano e si rivolge a tutto il paese guardato attraverso la prospettiva della solidarietà, premessa e condizione di uno sviluppo autentico: «Il nostro guardare al paese, con particolare attenzione al Mezzogiorno, vuole essere espressione, appunto, di quell'amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, in quanto tale condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti» (numero 2).
S'inquadra in questo contesto l'orientamento verso un federalismo solidale, nel quale i Vescovi intravedono potenzialità e rischi, attenti ai movimenti d'opinione che al riguardo sono presenti nel dibattito politico e culturale. Il documento rigetta un federalismo dissociativo che «accentuasse la distanza tra le diverse parti d'Italia»; mentre incoraggia, come «passo verso una democrazia sostanziale», un federalismo «solidale, realistico e unitario», capace di rafforzare l'unità del paese, «rinnovando il modo di concorrervi da parte delle diverse realtà regionali, nella consapevolezza dell'interdipendenza crescente in un mondo globalizzato».
In questa visione i Vescovi si richiamano alla «sempre valida visione regionalistica di don Luigi Sturzo e di Aldo Moro» (numero 8), ai quali non ci si appella quali anticipatori del federalismo, quanto piuttosto quali teorizzatori di un regionalismo, capace di rimodulare gli eccessi di uno stato burocratico e centralizzatore. Nella Relazione conclusiva al Congresso del Partito popolare italiano (Venezia ottobre 1921) Sturzo affermava: «A uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private».
È chiaro, allora, che il fondatore del Partito popolare non pensava a un federalismo solidale, ma a un regionalismo solidale sì. A questa linea di pensiero si richiamano i Vescovi italiani, consapevoli che «la corretta applicazione del federalismo fiscale non sarà sufficiente a porre rimedio al divario nel livello dei redditi, nell'occupazione, nelle dotazione produttive, infrastrutturali e civili», senza «un sistema integrato di investimenti pubblici e privati, con un'attenzione verso le infrastrutture, la lotta alla criminalità e l'integrazione sociale» (numero 8).
Mons. Domenico Mogavero è vescovo di Mazara del Vallo