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Perché la società può essere ricca anche senza soldi

di Gianfranco Fabi

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4 Marzo 2010

Una società moderna, ricca, con un benessere diffuso, ma in cui non ci sia più il denaro. Probabilmente un'utopia, dato che il denaro è stato e resta fondamentale nella crescita della produzione e del commercio mondiale, ma senza dimenticare due linee di tendenza che con motivazioni profondamente diverse vanno comunque in questa direzione. Da una parte ci sono i progressi della tecnologia. La dematerializzazione dei soldi ha ormai fatto passi da gigante e tutte le transazioni di una certa entità sono ormai compiute senza il passaggio fisico di monete e banconote; in pratica il denaro è ormai ridotto agli spiccioli, con indubbi vantaggi per la sicurezza e la legalità.
Più complesso e sicuramente ambizioso è il secondo aspetto: la prospettiva di una società senza soldi perché organizzata secondo il principio “da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni”, un principio che Karl Marx ha mutuato dalla tradizione cristiana come descritto negli Atti degli apostoli e rilanciata, con la proposta del dono e della gratuità come elementi delle relazioni economiche, anche nell'enciclica Caritas in veritate.
Ma è possibile pensare a una prospettiva in cui si possa ritornare a una visione del denaro semplicemente come strumento e non come valore proprio? Affrontando così anche l'elemento di fondo alla base della crisi economica degli ultimi anni: l'illusione di una finanza progressivamente separata dall'economia reale e in grado di creare da sola i soldi con i soldi.
È il cammino che Pierangelo Dacrema, ordinario di economia degli intermediari finanziari all'Università della Calabria, propone con Il miracolo dei soldi in cui, oltre ad offrire una prospettiva storica del denaro dalle conchiglie alle carte di credito, indica una strada: la sopravvivenza del denaro solo come «mezzo capace di premiare il merito e remunerare in modo ragionevole qualità e quantità del lavoro». Una prospettiva che appare altrettanto temeraria quanto utile. Anche per dare nuove possibilità di crescita a un sistema economico che appare in difficoltà anche perché i capitali hanno progressivamente conquistato la titolarità della produzione della ricchezza, tanto che il “capitalismo” è diventato l'imperfetto sinonimo dell'economia di mercato.
Non sarà facile: la teoria quantitativa della moneta è stata definita per la prima volta da David Hume a metà del 700. Quasi tre secoli di pensiero economico hanno da allora avuto al centro le opportunità e gli effetti delle politiche monetarie. E negli ultimi decenni la stessa politica economica si è ridotta a una più o meno fortunata politica monetaria.
Il vero problema allora è quello di non lasciare al denaro tutti i compiti di costruzione sociale. Perché del denaro si potrà fare a meno, ma non si potrà fare a meno della fiducia. «La fiducia - scrive Dacrema - continuerà a essere data, ottenuta, scambiata, conquistata perché quello della fiducia è un problema di tutta la vita». La fiducia nelle persone. E non nel loro denaro.

4 Marzo 2010
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