Senior fellow al Center for American Progress
La situazione in politica estera che Barack Obama si è ritrovato era altrettanto pessima, per non dire peggio, del caos economico lasciatogli dall'amministrazione Bush. Obama ha capovolto il declino della sicurezza in America e con le sue decisioni in aree cruciali ci ha rimessi sulla strada del recupero. In Afghanistan in due mesi Obama ha manifestato le sue intenzioni, raddoppiando il numero dei soldati dispiegati, ha incaricato del comando uno dei generali più preparati, e gli ha chiesto di redigere un rapporto sulla situazione. La sua decisione di garantire rinforzi e di concentrarsi sull'Afghanistan ha influito sulla decisione pachistana di fare sul serio con i taleban.
In Iraq, Obama ha delineato un piano per aspettare fino alla fine le elezioni irachene che si terranno a gennaio prima di ritirare il grosso delle truppe e sostituirne la metà con brigate di assistenza, sufficientemente armate da poter proteggere soldati americani, diplomatici e volontari come pure per collaborare con i soldati iracheni per il tempo che ci tratterremo nel paese. Il piano ha funzionato così bene che Odierno ha accelerato il ritmo dei ritiri delle truppe: programmando una scaletta di marcia ha convinto gli iracheni che ce ne saremmo andati, riducendo i loro incentivi ad attaccare.
Obama ha fatto ripartire le relazioni con la Russia e ha ottenuto la loro collaborazione per negoziare un nuovo trattato Start, e consentire ai nostri sistemi di rifornimento di attraversare i loro territori per raggiungere l'Afghanistan. Queste decisioni e altre - tra cui la mano tesa da Obama al mondo musulmano e arabo nel suo discorso dal Cairo, i negoziati senza precondizioni intrapresi con gli iraniani, la ripresa del processo di pace in Medio Oriente - hanno migliorato l'autorevolezza degli Usa nel panorama internazionale.