Senior fellow per il Medio Oriente del Council on Foreign Relations
Ad aprile, trascorsi i primi cento giorni di Obama alla presidenza, sono stato l'unico ad assegnargli un'insufficienza. A seccarmi allora è stato che il presidente avesse abbandonato la sua politica a favore dei diritti umani e nello specifico i dissidenti che combattono contro regimi spietati. Ciò continua a essere vero, e la debole reazione dell'amministrazione alle battaglie ingaggiate dal popolo iraniano è un esempio tra i peggiori e più significativi. I tentativi di "allacciare rapporti" con regimi quali quello birmano o siriano è repellente sul piano morale e, in ogni caso fino ad ora, anche del tutto fallimentare nel garantire cambiamenti politici da parte loro. Abbiamo anche assistito a un'incertezza e un vacillare delle posizioni nei confronti dell'Afghanistan da parte di un'amministrazione che o è incapace di farsi un'opinione in proposito oppure è del tutto priva della forza per far fronte a nemici pericolosi. Abbiamo assistito al fallimento della politica nei confronti di Israele e dei palestinesi. Abbiamo visto l'amministrazione vantarsi per i "progressi positivi" fatti da Putin, dal regime iraniano e altri ancora, soltanto per veder svanire nel nulla, dopo poco, tutte quelle "vittorie". La più grande vittoria in politica estera del l'amministrazione pare essere la campagna mirante a reinstallare al suo posto il presidente honduregno che ha violato la costituzione nel tentativo di prolungare il mandato e trasformare l'Honduras in un piccolo Venezuela.