Vicepresidente per gliaffari internazionali dell'American enterprise institute
Pare quasi di sparare sulla Croce Rossa assegnando al presidente un voto basso per una politica estera così fallimentare. C'era da aspettarselo, come il disprezzo dei nemici dell'America (Iran, Corea del Nord, Venezuela) e l'indifferenza degli autocrati che il presidente ha scelto di ingraziarsi (Russia, Cina, Egitto). Anche altre decisioni si sono rivelate fonte di delusione, specialmente la confusione mentale ispirata dalla visione politica di Obama di quella che un tempo riteneva essere una "guerra necessaria" in Afghanistan. Sono affiorate impressioni più precise sul presidente dall'inizio della sua amministrazione, suggestioni di un imbarazzo riflessivo nei confronti del potere americano che troppo spesso pare schierare Obama sul versante di quanti sono ostili all'America e, ancor peggio, contro coloro che sono sempre rimasti schierati dalla nostra parte. Sulla base delle prove di cui disponiamo e della sua esaltazione pressoché ossessiva, è difficile eludere l'impressione che il presidente non sia indifferente alla leadership americana, ma per lo più istintivamente a disagio con buona parte di ciò per cui la nostra nazione si è battuta sin dagli inizi, che si tratti di democrazia (nei suoi discorsi alle Nazioni Unite e al Cairo di proposito ha sminuito la superiorità di qualsiasi forma di governo), di libera impresa, di difesa della libertà (ovvero i popoli di Iran, Darfur, Honduras e Tibet). La visione di un'America tossica, i cui alleati sono contaminati per il fatto stesso di essere associati a noi (Polonia, Repubblica Ceca, Israele), e di avversari la cui inimicizia è in qualche modo giustificata dagli errori commessi in passato dagli Usa, è una visione che rischia di incoraggiare coloro che ci augurano il peggio.