Direttore del Sole 24 Ore
Il presidente è molto bravo con le parole. Sa blandire gli europei, ammicca alla ummah islamica, ipnotizza i giurati del Premio Nobel per la Pace. Su Afghanistan, Pakistan e Iran, tuttavia, è un Amleto migliore di Jude Law a Broadway, e sta ancora a ponderare pro e contro. La buona volontà c'è, ma deve passare ai fatti. Un terzo del pacchetto di incentivi all'economia è già stato speso. Le cifre relative alla produzione migliorano, ma quanto si deve al programma per la rottamazione auto? Che accadrà se la gracile ripresa non creerà nuovi posti di lavoro, con le elezioni di midterm tra un anno? Mr. Prez alzerà le tasse, magari a chi guadagna oltre 200mila dollari l'anno? La maggioranza degli elettori non crede che la Casa Bianca stia facendo un buon lavoro in campo economico. Per la riforma dell'assistenza sanitaria, sia lodato il presidente per aver schivato le sabbie mobili di Washington nelle quali Hillary Clinton e la proposta di riforma voluminosa come un elenco del telefono del suo guru Ira Magaziner si arenarono quindici anni fa. Il comportamento nei confronti del Congresso è stato fermo e di buonsenso: non ancora efficiente come quello del vecchio Lyndon B. Johnson, ma determinato. Per vincere la partita, Obama alla fine dovrà fare a botte con le lobby dei conservatori e i pasdaran liberali. Dove ha fallito è nel creare quel consenso post ideologico che sognava nei suoi libri. L'America è divisa come sotto Clinton e Bush.