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Investire d'autunno profuma di primavera

di Orazio Carabini

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4 ottobre 2009


Se il denaro affluisce in Borsa è segno che c'è fiducia nel futuro. Se i risparmiatori, e gli operatori che li consigliano, investono nelle azioni o prestano i soldi alle imprese attraverso le obbligazioni societarie vuol dire che si aspettano più profitti, più dividendi, e quindi uno scenario economico positivo.
In un quadro ancora segnato da tante incertezze il galoppante andamento dei mercati, al di là dei balbettamenti degli ultimi giorni, va dunque accolto con soddisfazione. Perché la ripresa dell'economia dipende anche dalla fiducia. Che aumenta e diminuisce seguendo meccanismi non del tutto interpretabili razionalmente.
I motivi di ottimismo non mancano. Gli organismi internazionali, le società di ricerca, gli analisti delle banche e dei fondi d'investimento li hanno giustamente sottolineati nelle ultime settimane. Certo è, però, che un rimbalzo della Borsa del 50% negli ultimi sei mesi era difficile da prevedere ed è difficile da spiegare. In Italia come negli Stati Uniti.

C'è un eccesso di reazione del mercato. Una voglia di lasciarsi alle spalle quello che è successo senza che nel frattempo sia cambiato nulla. Già perché le grandi pulizie dei bilanci bancari - tanto per dirne una - non sono affatto finite. E la regolamentazione del sistema finanziario, che sembrava destinata a una rivoluzione epocale, per ora è rimasta tale e quale a prima.
La realtà è che gli investitori sono mossi da un'ansia disperata di recuperare il tempo perduto. L'enorme liquidità accumulata nei mesi di vacche magre è a caccia di rendimenti che possono venire solo da investimenti più rischiosi come le azioni e i corporate bond. Perché i titoli di Stato, peraltro richiestissimi, non rendono niente nel breve termine e quelli a lunga scadenza vanno dall'1,5% al 5% lordo (a 30 anni).
Per molti la sicurezza di non intaccare il capitale è già passata in secondo piano. «Che cosa ci faccio con il 3% netto?», si sentono chiedere - nonostante l'inflazione zero o sottozero - consulenti, promotori e sportellisti. Che non aspettano altro per proporre azioni, fondi e corporate bond.

È vero che la prospettiva di un periodo ancora lungo di bassi tassi d'interesse (le banche centrali dovranno avere buoni motivi per rialzarli dopo una recessione così profonda e una ripresa tanto fragile) incoraggia a puntare su obbligazioni, come quelle societarie, che offrono rendimenti molto attraenti in questa fase. Ed è vero che le azioni sono una scelta abbastanza obbligata per chi vuole rifarsi in fretta delle perdite subite in precedenza.
La sensazione però è che gli intermediari (banche, assicurazioni, società di asset management) abbiano ricominciato a operare come se nulla fosse successo. Soprattutto negli Stati Uniti la lobby della finanza si sta opponendo con tutte le forze alla riforma della vigilanza sul sistema finanziario proposta da Barack Obama al Congresso. Quasi che, tra pochi mesi, con il consolidamento della ripresa e la fine dello stillicidio di notizie negative sull'occupazione, il business dei soldi riprenda esattamente come prima del fallimento di Lehman Brothers. E il resto del mondo si accoda agli americani, proprio come "ai bei tempi".

La gente dimentica in fretta, dicono gli economisti e gli psicologi. La batosta di un anno fa è già acqua passata, almeno per molti. Gli avvertimenti, gli inviti alla cautela sono ormai un ronzio fastidioso che disturba la voglia di cancellare sensazioni poco piacevoli. Eppure non sarebbe un male se qualche traccia della scottatura fosse rimasta. Per ricordare ai risparmiatori le più elementari regole di prudenza da seguire quando si investe. E per rammentare che l'ingordigia può fare brutti scherzi: di bolle che si gonfiano ce ne saranno sempre.

4 ottobre 2009
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