ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER
3 novembre 2009
2 novembre 2009
1 NOVEMBRE 2009
31 ottobre 2009
30 ottobre 2009
29 ottobre 2009r
24 Ottobre 2009
23 ottobre 2009
22 ottobre 2009
21 ottobre 2009
20 ottobre 2009
16 ottobre 2009
15 ottobre 2009
14 ottobre 2009
13 ottobre 2009
12 ottobre 2009
10 ottobre 2009
8 ottobre 2009
7 ottobre 2009
6 ottobre 2009
5 Ottobre 2009
4 Ottobre 2009
2 Ottobre 2009
1 Ottobre 2009
30 Settembre 2009
29 Settembre 2009
28 Settembre 2009

27 Settembre 2009

25 settembre 2009

26 settembre 2009

24 Settembre 2009

Rispettare quella soglia sacra

di Bruno Forte

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
4 ottobre 2009


Che cosa un credente pensa del fine-vita? Per chi crede la vita è un dono ricevuto da Colui che è il Creatore del cielo e della terra, il Signore della vita. La gratuità di questo dono, il suo essere motivato da nient'altro che da amore in ogni istante, dal primo all'ultimo, fa esclamare a chi guarda alla vita con gli occhi della fede: «Tutto è grazia! » (Teresa di Lisieux, Georges Bernanos). Per quanto possa sembrare paradossale, fede è riconoscere il dono anche nell'ora del dolore, perfino nel momento in cui il grido rivolto al Dio amato è quello dell'abbandono: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Marco 15,34). Nell'originale greco questo "perché?" è un perché finale: eis tì?, "a che scopo?", "per quale fine?".
Gesù in Croce fa sua la domanda più profonda del cuore umano, che non è quella sulla causa della sofferenza e della morte, ma quella sul loro senso ultimo, e conseguentemente sul modo di viverle riuscendo o meno a dare a esse un senso. Il Crocifisso rivela questo senso abbandonandosi a Colui che l'abbandona: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Luca 23,46). Anche qui il testo greco è eloquente: eis cheiràs sou, "nelle Tue mani", sembra riprendere la stessa preposizione della domanda, eis, e orientarla verso l'unica risposta possibile, le mani accoglienti e affidabili di Chi è padre- madre nell'amore.
La lacerazione suprema, il silenzio della morte che segue al grido dell'ora nona, è vissuto dal Dio crocifisso come consegna, offerta, dono. Così la morte appare soglia, passo verso mani aperte a un abbraccio, corrispondenza a una voce silenziosa che chiama. Non di meno, su questa soglia più intenso appare l'amore alla vita, quello che il sudore di sangue di Cristo nell'orto davanti alla Croce imminente rivela con più eloquenza di ogni parola.
La morte non è fine, è confine.

Ha saputo esprimere questa convinzione della fede in maniera fortemente evocativa Renzo Barsacchi, voce alta della nostra poesia novecentesca: «Portami via per mano ad occhi chiusi senza un addio che mi trattenga ancora tra quanti amai, tra le piccole cose che mi fecero vivo. Non credevo, Signore, tanto profondo fosse questo sfiorarsi d'ombre, questo lieve alitarsi la vita nello specchio fragile di uno sguardo, né pensavo che il mondo divenisse, abbuiando, così acceso di impensate bellezze" (da Notti di Nicodemo, 1991).
Al fine-vita chi crede si approssima dunque con pudore e tremore: il pudore è quello davanti al mistero sconfinato che si offre agli occhi della sua fede come orizzonte di speranza e di senso, non riducibile a parole o a evidenze facili.
Il timore è lo stupore davanti all'ignoto, la paura che ogni sorpresa porta con sé: non solo il timore di come sarà il dopo, ma anche e forse soprattutto il timore di come il cuore inquieto saprà affrontare quell'ultimo passaggio, quella resa senza ritorno dell'addormentarsi in Dio per un altro risveglio. È qui che il sacrario della coscienza appare lo scrigno prezioso di un dialogo che nessuno può vivere al posto di un altro. Ed è qui che l'altrui vicinanza in quell'ora suprema appare non di meno preziosa, desiderata ed amabile. «Mi aiuti a vivere bene il passaggio », mi diceva qualche giorno fa un vecchio sacerdote morente, dalla fede tenace e convinta: quasi a dire che l'apparente lacerazione delle vicinanze, che è il morire, va vissuta in un'ancora più intensa comunione di speranza, di fede. È questo connubio fra sacrario della coscienza e rete di comunione che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita: essa dovrebbe riconoscere la sacralità di quel momento, indipendentemente dalle convinzioni personali del legislatore, perché la morte è una soglia sacra per tutti, credenti o non credenti, precisamente per il suo carattere di definitività, di assoluto non ritorno e dunque di ultima, estrema possibilità. Dubito che dichiarazioni rese in tempi diversi, specie se lontani da quello della malattia e della morte, possano avere un valore veramente vincolante per le sorti della persona: si sa che altro è vedere la morte con gli occhi della salute e della vita, altro è confrontarsi con essa nel tempo della prova o del disfacimento fisico. È noto che la percentuale di suicidi nella popolazione ebraica tedesca scomparve quasi del tutto dopo l'inizio della Shoah: l'amore alla vita cresce in chi sente imminente il rischio di perderla. Ciò che va valorizzato, allora, è la rete relazionale in cui la persona del morente si situa: i suoi affetti, i referenti medici chiamati ad agire in scienza e coscienza, la sua scelta davanti al mistero. E questo per non lasciare sola nell'emozione dell'ora estrema la persona che si prepara al passaggio. Qualora, poi, non ci fosse in lei più alcuna coscienza accertabile, la sacralità della sua vita e della sua morte appare a chi crede degna comunque di un assoluto rispetto, che nessuna riduzione deve oscurare. È qui che il no all'eutanasia, come quello all'accanimento terapeutico, sono visti dal credente come vincolanti, segno del riconoscimento tanto della dignità della persona quanto del valore sacro della vita. Anche un solo istante di vita umana, fosse pure in uno stato vegetativo, ha agli occhi di chi crede un valore infinito, perché viene da Dio e a Dio solo spetta porvi termine. Ma non è questo valore sacro della vita il patrimonio morale consegnato a ogni essere umano, inscritto nel grande codice del Decalogo, in quel "non uccidere" irrinunciabile per ciascuno perché baluardo di umanità piena per tutti?

4 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-