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Non è più tempo di mani bucate

di Massimo Bordignone e Sandro Brusco

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5 dicembre 2009

Sono ormai quasi due decenni che in Italia si parla di federalismo e di come esso potrebbe contribuire a risolvere alcuni dei problemi economici del paese. L'idea di base è semplice. Avvicinando maggiormente il momento del prelievo a quello della spesa si irrigidisce il vincolo di bilancio, si stimola il controllo dei cittadini e si evitano gli incentivi perversi indotti dalla presenza di soldi che vengono principalmente da fuori.
Si evita in particolare di sussidiare l'inefficienza e gli amministratori locali incapaci, con fondi reperiti tassando anche i cittadini che tali amministratori non contribuiscono a eleggere. In sostanza, questo è anche quello che prevede la Legge delega sul federalismo fiscale, i cui decreti attuativi sono in corso d'elaborazione da parte del governo. Tutto a posto allora? Al contrario. Il problema è come rendere questi precetti normativi efficaci, un compito non facile.
Purtroppo, la storia anche recente non è incoraggiante. Solo nell'ultimo anno il governo centrale ha per esempio trovato soldi per finanziare lo sfascio di Catania e Palermo ed evitare il commissariamento della Sicilia. Con i patti sulla salute si è reso sì obbligatorio il commissariamento delle regioni in deficit, ma ci si è anche affrettati a stabilire che il commissario straordinario deve essere lo stesso governatore della regione inadempiente, cioè spesso il diretto responsabile del disastro finanziario.
Così, nelle regioni in deficit, cittadini e imprese sono ora puniti, attraverso l'incremento automatico dei tributi e delle tariffe, mentre i politici sono premiati, attraverso i poteri straordinari di un commissario. Il problema è che, qualunque cosa dica la legge, il governo al potere trova spesso conveniente aiutare i governi locali in difficoltà, perché questo serve al mantenimento degli equilibri politici nazionali. Ma se queste sono le attese, non c'è ragione perché un governo locale, soprattutto in una situazione difficile come quella del Mezzogiorno, debba sobbarcarsi la fatica di migliorare la qualità dei servizi, che spesso conduce all'eliminazione delle rendite e a perdite di consenso; chi lo fa, appare solo un «cretino», come ha amaramente commentato di recente Fabrizio Barca.
Appare dunque necessario rafforzare i meccanismi di controllo sui comportamenti finanziari dei governi locali, ovunque ma soprattutto nel Mezzogiorno, dove il controllo democratico è spesso più debole perché è più facile che l'inefficienza della spesa pubblica sia funzionale al mantenimento del consenso.
Il problema è come farlo, visto che la legge è spesso insufficiente e il governo centrale, che quella legge dovrebbe far rispettare, è inaffidabile. Una possibile risposta l'ha suggerita all'inizio degli anni 70 Mark Felt, la "gola profonda" dell'affare Watergate: follow the money. Seguendo questo suggerimento, perché non imporre che l'esborso ai partiti e agli amministratori locali sia condizionato al rispetto dei vincoli di bilancio?
Nel sistema politico italiano i rimborsi elettorali sono una parte consistente del finanziamento dei partiti. Mauro Agostini, tesoriere del Pd, ha stimato che nel periodo 2004-2008 siano stati erogati ai partiti italiani più di 941 milioni di fondi pubblici, in massima parte come rimborsi elettorali per le elezioni, politiche, amministrative ed europee. I partiti inoltre giocano un ruolo determinante sia nella scelta dei candidati locali che delle politiche che tali candidati pongono in essere in caso di vittoria elettorale. Appare quindi ragionevole cercare di agire prioritariamente sui loro incentivi.
La nostra proposta è semplice. Imponiamo per legge, sottraendola alle decisioni discrezionali del governo centrale, che i rimborsi elettorali per le elezioni regionali, che vengono corrisposti annualmente, siano eliminati nel caso in cui la regione si trovi in deficit. Più specificamente, se in un dato anno il bilancio regionale risultasse deficitario, il rimborso ai partiti dovrebbe essere la prima voce di spesa ad essere eliminata. La seconda, sono gli emolumenti corrisposti al Governatore e ai membri della giunta regionale. Si rafforzerebbe in tal modo l'incentivo che viene dato ai partiti per scegliere meglio i propri candidati e ai politici locali per perseguire politiche più responsabili.
È chiaro che il taglio di rimborsi elettorali ed emolumenti dovrebbe servire a fornire incentivi, non a ripianare il deficit. Le somme che vengono corrisposte infatti, per quanto spesso d'entità assoluta non trascurabile, sono solitamente molto inferiori ai fabbisogni di finanza pubblica.
L'idea, quindi, non è quella di recuperare soldi dai rimborsi elettorali o dal mancato pagamento dello stipendio al governatore, e con quelli ripianare il deficit, ma semplicemente di usare questo meccanismo per convincere le forze politiche e gli amministratori locali dell'opportunità di un comportamento responsabile, nella scelta dei candidati locali e nel perseguimento delle politiche.

5 dicembre 2009
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