L'accordo politico tra i ministri finanziari siglato il 2 dicembre apre la strada alla creazione di un'autentica vigilanza europea sul sistema finanziario e va quindi accolto con grande soddisfazione. Purché sia considerato un punto di partenza e non un punto di arrivo: esistono ancora molti dettagli da definire per i nuovi organismi da creare e i loro effettivi poteri e, com'è noto, è proprio nei dettagli che si annida il diavolo.
Su un punto non ci sono dubbi: fra le tante vittime della crisi c'è anche l'idea che l'Europa avesse realizzato un grado accettabile di integrazione finanziaria (grazie a trent'anni di direttive in materia) e di coordinamento fra le autorità di vigilanza grazie ai comitati creati dieci anni fa dopo il rapporto Lamfalussy. Il rapporto de Larosière pubblicato a febbraio, che ha formulato le proposte che stanno prendendo corpo in questi giorni, ha fatto una diagnosi impietosa dell'attuale situazione europea. Il livello di coordinamento legislativo è assolutamente insoddisfacente, tanto che continuiamo a definire in modo diverso da un paese all'altro i due concetti base della vigilanza: cos'è una banca e quali sono le componenti del capitale bancario. Senza reticenze afferma anche che la procedura Lamfalussy per un più veloce e omogeneo recepimento delle direttive non ha raggiunto i risultati.
Il rapporto concorda anche sul fatto, ampiamente messo in rilievo durante la crisi, che è totalmente mancata la cooperazione fra le autorità europee di vigilanza ed è mancata quindi qualsiasi soluzione veramente sovranazionale. L'esempio più lampante è quello di Fortis, smembrata fra i tre paesi intervenuti per il salvataggio: Francia, Germania e Olanda. Come uno staterello sconfitto alla fine della guerra dei Trenta anni.
Il rapporto Larosière ha formulato importanti proposte su due livelli. In primo luogo, l'istituzione di un'autorità di controllo macroprudenziale, incaricata di vigilare sui rischi di carattere sistemico e di formulare raccomandazioni alle autorità nazionali. In secondo luogo, la trasformazione dei Comitati europei di vigilanza microprudenziale (cioè sulle singole istituzioni) in Autorità europee. Secondo la regola già adottata, che segue il modello tedesco, le competenze saranno di tipo funzionale: banche, mercati, assicurazioni.
Il punto importante è che le tre nuove istituzioni europee saranno più autorevoli in materia di proposte di regolamentazione, avranno competenza in controversie o contrasti fra autorità nazionali e saranno il referente fondamentale delle istituzioni pan-europee. In linea di principio, quindi, tutto bene.
Il problema è che per scrivere la proposta di legge presentata a fine settembre e arrivare all'accordo politico si sono scelte soluzioni di compromesso o addirittura vaghe. In tema di vigilanza macroprudenziale, che la teoria economica riserva alle banche centrali, si è limitato il ruolo della Bce, per placare le reazioni di Londra. E si è anche inserito fra i membri con diritto di voto un rappresentante della Commissione, che crea rischi di ingerenze politiche non piccoli.
Anche le tre autorità per la vigilanza «micro» sono altrettanti nodi da sciogliere. Le nuove autorità sono a tutti gli effetti un sistema che si sovrappone a quello nazionale, non una realtà realmente sovranazionale come il Sistema europeo di banche centrali che ha nella Bce il vertice. Le autorità Ue non sono da nessun punto di vista l'equivalente della Bce e dunque è forte la possibilità che gli interessi nazionali prevalgano nelle crisi. Non a caso, in maggio la Commissione – al suo primo riconoscimento politico per il rapporto de Larosière – usò un termine molto ambiguo per i collegi di supervisori : «Perno del sistema di vigilanza e attori importanti del flusso di informazioni fra l'autorità del pese di origine e quella del paese ospitante».
In secondo luogo, la governance delle nuove istituzioni si preannuncia molto problematica. Per ciascuna autorità europea abbiamo uno steering committee, un management board e un board of supervisors. Quest'ultimo (l'organo fondamentale) si compone di 32 membri, fra cui dominano i 27 rappresentanti delle autorità nazionali dei singoli stati membri. Il processo di formazione delle decisioni rischia di essere assai poco tempestivo per le scelte (talora dure) della vigilanza finanziaria.
Per questo e molti altri aspetti non meno importanti, la vigilanza europea va considerata non come un risultato già raggiunto, ma come una costruzione da realizzare faticosamente giorno per giorno. Ma da avviare subito, cercando di togliere dal progetto di legge europea quante più ambiguità possibile e rafforzando le competenze sovranazionali in materia di vigilanza macro e microprudenziale. E anche dopo, saranno le nuove istituzioni a doversi creare giorno per giorno l'autorevolezza per proporsi come vere alternative al livello nazionale di vigilanza. In caso contrario, avremo creato solo un nuovo livello di coordinamento, che rischia di frantumarsi di fronte al primo vero problema.