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STORIE / Salam e le altre la democrazia delle donne cambia l'Iraq

dall'inviato Roberto Bongiorni

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5 Marzo 2010

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L'impressione è che l'Iraq sia ancora un paese a due facce, dove le differenze confessionali contano. «Certo che contano. Per esempio le posizioni più importanti sono spartite in base alla confessione e non alla competenza dei singoli individui. Così se in un dicastero il ministro è sciita il direttore generale sarà probabilmente sunnita, e viceversa. Dobbiamo abbattere questo muro, nuoce alla meritocrazia», precisa Azhar.
Vestita di un elegante tailleur panna, Azhar non indossa il velo. «Deve restare una scelta personale. Io non lo porto, ma le mie sorelle, due ingegneri e un medico, sì. D'altronde non esiste da noi una legge che lo impone. Inorridisco a sentire quanto è avvenuto negli ultimi anni a Bassora e a Mosul, dove alcune donne sono state uccise perché non lo indossavano».
Samiad Aziz è una parlamentare curda dal temperamento forte, quasi autoritario, con un tono di voce marcato. La questione femminile non la interessa più di tanto. Nelle sue parole emergono i rancori ancora non sopiti della comunità curda, perseguitata da Saddam. «Quasi un milione di curdi sono stati cacciati via dall'Iraq da Saddam che ha ritirato loro il passaporto. Sono iracheni, devono poter votare, è un loro diritto», esclama. «Discriminazione verso le donne? Non mi sembra. Era più grave la discriminazione contro noi curdi ai tempi di Saddam. Ora è tutt'altra cosa».
Dal Kurdistan Narmin Othman Hasan, attuale ministro per l'Ambiente e attivista femminile non la pensa così. «I progressi nella condizione femminile sono sotto gli occhi di tutti - ci spiega al telefono - ma la strada è ancora lunga. Molte vedove di guerra non ricevono l'assistenza dovuta, il problema dell'analfabetismo tra le donne è ancora molto grave, la loro uguaglianza davanti alla legge è spesso formale e non sostanziale. Ma sono ottimista: la democrazia richiede tempo. Questo è l'inizio del nuovo Iraq».

5 Marzo 2010
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