Anche in politica può capitare di vincere per ko tecnico, ma normalmente non si tratta di un buon viatico per il futuro. È vero infatti che, dinanzi all'incredibile vicenda delle liste Pdl nel Lazio e in Lombardia, i vertici del Partito democratico si godono l'effetto insperato di quello che Stefano Cappellini ha definito sul Riformista «il fattore C di Pier Luigi Bersani»: colui che «senza quasi colpo ferire si trova a vedere ogni giorno accresciute le possibilità di vittoria alle regionali».
Ma c'è comunque da chiedersi se l'effetto dell'invidiabile fortuna di Bersani non sia almeno in parte allucinogeno, come invece risulta se abbandoniamo la cronaca delle tragicomiche avventure del centro-destra laziale e lombardo e guardiamo ai dati del sondaggio Ipsos pubblicato recentemente dal Sole 24 Ore. Vi si legge infatti che alla crescita della sfiducia nel governo non si accompagna un'analoga crescita nel consenso per l'opposizione, che al contrario «resta impigliata dal novembre scorso - come ha scritto Lina Palmerini - al 71-73% di giudizi negativi».
Eppure in queste ultime settimane è accaduto davvero di tutto per favorire un aumento della fiducia nel maggior partito di opposizione: il ritorno di scandali giudiziari che vedono coinvolti per lo più esponenti del governo o dei partiti di maggioranza, l'incrinarsi del mito dell'infallibilità di Berlusconi nella prova del post-terremoto all'Aquila, il riaprirsi di un conflitto interno al Pdl che rivela una volta di più le crepe di un cartello ben lontano dall'essere un autentico partito politico.
È accaduto di tutto, tranne quello che normalmente rende più credibile una forza politica: la capacità di definire e raccontare un autentico progetto per il paese, attorno al quale aggregare visioni e consenso possibilmente maggioritari. Al contrario, in queste stesse settimane il Partito democratico sembra avere consapevolmente scelto l'immobilismo. Forse per non provocare alcun mutamento in una congiunzione astrale sorprendentemente benevola, ma più probabilmente nella convinzione che i frutti del consenso non potranno che cadere da soli nelle mani di chi si mostra ancora una volta "diverso". Si legge infatti in questa scommessa l'eco di un'antica predisposizione d'animo del post-comunismo italiano, che nel bene o nel male rappresenta la vera cultura politica residuale del Pd. Ovvero la convinzione di rappresentare la parte migliore del paese in virtù di misteriose qualità antropologiche, che da sole potranno garantire di ricevere le redini del paese come si riceve un dono del cielo.
Non c'è dubbio che la vocazione all'immobilismo per meglio sfruttare le disgrazie degli avversari abbia pagato anche nella nostra storia recente, permettendo al centro-sinistra di vincere le elezioni del 2006 senza un grande sforzo d'inventiva progettuale (di cui tuttavia il governo di Prodi avrebbe rapidamente pagato le conseguenze). Ma oggi esiste un ostacolo molto serio alla possibilità che quella stessa scommessa produca risultati analoghi a vantaggio del centro-sinistra. La bandiera della diversità dal berlusconismo torna infatti ad essere agitata dalla Lega con una forza ben maggiore di quella degli esordi del Carroccio, quando per Bossi si trattava di distinguersi da Forza Italia senza poter rinunciare a un'alleanza di valore strategico. Oggi la Lega si candida al governo del Nord su basi di autentica autonomia politica dal berlusconismo, senza godere di alcun particolare vantaggio televisivo ma potendo contare sulla capacità di aggregare un consistente consenso democratico e una classe dirigente già sperimentata nel governo locale.
Il voto di fine mese ci dirà quante amministrazioni regionali passeranno nelle mani di Bossi, e quali effetti si avranno non solo sulla stabilità della coalizione di governo, ma soprattutto sull'unità di fatto del nostro paese. Certo è che le conseguenze del possibile trionfo leghista sulla tenuta del paese saranno tanto più dirompenti quanto più debole sarà la capacità del Pd di presentarsi come un'alternativa al berlusconismo, la cui forza discenda da un'autonoma capacità di progetto politico. E non, come invece ci raccontano le cronache di queste settimane, dall'illusione di prosperare nell'immobilismo e di ricevere senza muovere foglia l'eredità del governo.