In Italia spesso la ricerca c'è, anche se non sempre si vede. In tutte le classifiche internazionali, il paese risulta in coda nelle spese di ricerca misurate come percentuale del Pil. C'è chi sostiene che le aziende, specie le Pmi dei distretti, fanno moltissima innovazione incrementale, sul modello giapponese del kaizen, che viene sistematicamente incorporata nel prodotto finale. In sostanza parecchia ricerca effettuata dall'Italia non risulta formalizzata anche perché le statistiche Ocse tengono in sostanza conto solo di quella dei grandi gruppi, in laboratorio. Non per niente già Einstein diceva che «la ricerca applicata non esiste, esistono le applicazioni della ricerca». Un altro punto di eccellenza lo troviamo nei politecnici, specie quelli di Torino e Milano, dove l'integrazione industria-università sembra funzionare decisamente meglio. Sotto la Madonnina i brevetti arrivano in tandem, grazie ai consorzi misti. All'ombra della Mole è nata una piccola «Po valley» che qualcuno ha ribattezzato un nuovo modello di fabbrica della conoscenza, la Mirafiori del futuro. Con tanto di campus.