È un po' come spiare l'Italia dal buco della serratura. Vedi gli scaltri e anche i più sprovveduti. È il popolo dello scudo fiscale, o almeno come lo immagini passando attraverso il filtro dei moltissimi quesiti giunti in questi giorni al Sole 24 Ore. Vedi subito i veri evasori, astuti e svelti nel cogliere le migliori opportunità, prima con i capitali "nascosti" oltrefrontiera e ora con la chance di un perdono a buon mercato. E vedi chi con questa storiaccia ha proprio poco da spartire. Semmai, ci è caduto dentro, più per incuria che per slealtà.
C'è chi ha avviato una piccola attività commerciale ai Caraibi e vuole riportare a casa i risparmi. Chi, negli anni settanta, aveva spostato quadri di valore nel caveau di una banca di Chiasso, a poche centinaia di metri dalle rive del lago di Como. Oppure ancora chi, baby pensionato di 51 anni, trascorre ora l'inverno nella sua casa acquistata a Salvador de Bahia, in Brasile, senza averlo mai svelato al fisco nel famigerato quadro Rw del modello Unico, quello che serve per monitorare le attività e le somme di denaro detenute all'estero. Poi ci sono gli eredi, spesso "inconsapevoli". Un giorno ti chiama il notaio e, voilà, la vecchia zia ti ha lasciato un bel gruzzolo su un conto in una banca austriaca, insieme a una cassetta di sicurezza con gioielli e una collezione di orologi antichi. E poi gli appartamenti in multiproprietà in Spagna o in Costa Azzurra e conti bancari rimasti aperti all'estero dopo una vita di lavoro lontano dall'Italia.
Sai bene dei milioni di euro svaniti nel nulla e ricomparsi all'estero dopo complicatissime trame criminal-finanziarie, ma ti imbatti anche in chi chiede se per riportare a casa 9.900 euro in contanti (sì, proprio novemilanovecento) è necessario passare attraverso le maglie della legge: dichiarazione in dogana; appuntamento con la banca; colloqui con commercialista e avvocato; dichiarazione riservata; versamento del 5% per il sospirato perdono.
È un fotogramma, certo. E non appena scorrono i successivi frame, salta fuori il vero volto dello scudo, che - diciamolo in modo chiaro - sarà pure un'operazione opportuna e necessaria, ma non per questo la dobbiamo apprezzare e digerire come se fosse giusta e persino dovuta. E gli esempi li conosciamo. Lo yacht intestato a una società di Jersey, nel canale della Manica; la holding "paradisiaca" che detiene partecipazioni italiane e estere; i titoli in gestione di fiduciarie estere; le società esterovestite; i dubbi sul falso in bilancio o sulle fatture false; e poi infiniti intrecci - da San Marino al Lussemburgo, passando per Monaco - che riportano subito alla dura realtà.
Ma questa è l'Italia. E questo è lo scudo. Mischiati insieme ai troppi furbi trovi tanta ingenuità, gente che «io non ci ho mai pensato», che non sapeva, che non conosceva le regole. Nulla che valga come giustificazione, certo. Eppure, senza scomodare l'etica, una differenza deve pur esserci tra chi si è scoperto evasore per caso e chi ha evaso per scelta.