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Le università spingono solo i prof interni

di Gianni Trovati

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5 ottobre 2009

I professori universitari vincono solo quando giocano in casa. Negli ultimi quattro anni tre concorsi su quattro si sono conclusi con una promozione, che ha dato al prescelto una stelletta in più senza chiedergli di cambiare sede.

Il "mercato" delle competenze, insomma, non attira, ma non è colpa sua. Quando si libera un posto, sono i professori della facoltà a decidere che cosa fare: meglio chiamare un esterno, che magari ha già ottenuto un'idoneità in un'altra prova, o bandire un concorso nuovo con la speranza di vincerlo? Di solito non hanno dubbi: meglio la speranza.

A scardinare questa abitudine ci prova ora la riforma Gelmini, che dopo lunga attesa dovrebbe arrivare a breve in consiglio dei ministri. Nei piani del ministro c'è quello di imporre agli atenei una quota minima di assunzioni dall'esterno, che potrebbe essere fissata al 50 per cento. Sarebbe una rivoluzione.

Il passaggio dalla teoria alla pratica, però, nell'università italiana non è mai facile. Lo dimostra la riforma dei concorsi, che per eliminare le combine ha introdotto le commissioni a sorteggio. Prima, però, con il classico bizantinismo accademico c'è da eleggere i sorteggiabili: le elezioni saranno a metà dicembre, poi si formeranno le commissioni. Ma chi affolla le prove, bandite ormai da più di un anno? Otto su dieci sono docenti già di ruolo, che aspirano alla promozione.

Si rimette in moto il pachiderma dei concorsi per i professori universitari, ma i numeri mostrano che c'è un problema: nei bandi 2008 più di tre posti ogni quattro sono dedicati a ordinari e associati, che i vincoli legati al turn over e le regole di reclutamento rendono difficili da assorbire. Per i ricercatori, invece, i bandi sono diventati assai meno generosi e il futuro riserva più di un rischio. Ma andiamo con ordine.

Il meccanismo del reclutamento accademico si è rimesso in moto perché il ministero ha fissato il calendario elettorale per formare gli elenchi di papabili tra cui sorteggiare i commissari d'esame delle diverse discipline almeno per la prima sessione dei concorsi 2008 (ne parla l'articolo qui sotto). Intanto sia il premier Berlusconi sia il ministro dell'Università Mariastella Gelmini hanno rilanciato nuovamente il disegno di legge per la riforma di governance e reclutamento, che dopo una lunga gestazione dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri nelle prossime settimane. Fra le altre cose, la nuova riforma dovrebbe favorire il reclutamento di nuovi ricercatori, prevedendo che gli atenei aprano a loro le porte con frequenza nettamente maggiore rispetto a ordinari e associati.

I dettagli si vedranno con il nuovo testo che arriverà sul tavolo del governo, ma prima c'è da risolvere il rebus dei numeri "monstre" contenuti nei concorsi banditi dell'anno scorso, ancora tutti da effettuare. Nel 2008 le università hanno bandito 2.621 posti (quasi tutti nella prima sessione, quella interessata dal primo sblocco), che in 2.018 casi (il 77%) riguardano promozioni a ordinario o associato. Qui arriva il primo problema: l'anno prossimo, quando (se tutto va bene) i concorsi potranno partire davvero, le università potranno spendere solo la metà delle risorse liberate dai pensionamenti, destinandone il 60% ai ricercatori, il 30% agli associati e il 10% agli ordinari. Da Verona a Bergamo, da Siena a Brescia, dal Politecnico di Torino a quello di Bari, 15 università sono però a secco di ricercatori in attesa, altre 14 dedicano alle nuove leve meno di un posto su 10 e solo 14 hanno destinato alle promozioni di chi è già di ruolo meno della metà dei posti banditi. In pratica solo queste ultime potranno assorbire tutti i posti messi a concorso, purché il loro turn over sia abbastanza generoso, mentre nella maggioranza degli atenei per accogliere gli ordinari e associati "promessi" ci vorranno anni. A rendere il nodo ancora più intricato c'è il trucchetto del «doppio idoneo», reintrodotto l'anno scorso, che fino alla prima sessione 2008 ha permesso agli atenei di creare due ordinari o associati per ogni posto bandito: se tutti volessero applicarli, la quota di ricercatori in pratica si dimezzerebbe.

Per riaprire la strada ai giovani il Ddl Gelmini dovrebbe introdurre nuove norme "di favore", in due modi: secondo le bozze circolate in questi mesi, il reclutamento dei ricercatori dovrebbe avvenire tre volte l'anno, contro la cadenza annuale pensata per gli altri ruoli, e le università dovrebbero assicurare una «intensificazione progressiva» delle assunzioni di nuovi giovani.

Se il futuro promette un occhio di riguardo, però, il presente è più avaro. Il cofinanziamento statale per i posti da ricercatore, per esempio, è in stand by, perché mentre i tempi lunghi dei concorsi mettono a rischio i fondi 2008 ancora deve arrivare al traguardo il provvedimento che sblocca gli 80 milioni di dote per il 2009. L'emendamento ministeriale è collegato al Ddl delega sui lavori usuranti, fermo in Parlamento da oltre un anno, ma per evitare che i fondi ritornino al ministero dell'Economia l'assegnazione deve avvenire entro fine 2009.
gianni.trovati@ilsole24ore.com

5 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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