Nell'ottobre dello scorso anno, durante i giorni di panico seguiti al crollo di Wall Street, lo storico americano dell'Ottocento e della guerra di secessione Scott Reynolds Nelson, del College of William and Mary di Williamsburgh ( Virginia), conobbe un momento di particolare notorietà. Infatti, pubblicò sulla rivista "The Chronicle of Higher Education" un articolo in cui paragonava la recessione globale che allora stava iniziando non al 1929, cioè al più noto paradigma di tutte le crisi economiche, bensì alla grande depressione del 1873. L'attenzione dei media (l'articolo fu tradotto in molte lingue e variamente commentato) verso questo raffronto storico è poi scemata sotto l'incalzare degli avvenimenti, ma vale la pena oggi di rivisitare le argomentazioni di Nelson, perché quando una crisi ha una portata come quella attuale i paralleli storici sono necessari. E anche chi non è storico di professione e quindi ha una visione parziale degli eventi può dare un contributo per stimolare il dibattito.
Il calo degli indicatori economici durante il primo anno dell'attuale recessione ha toccato intensità indubbiamente simili a quelle registrate nella prima fase dellacrisi del '29 ma, a parte altre analogie marginali, il paragone si ferma qui. Nel 1873, invece, gli indicatori macroeconomiciallora esistenti non registrarono una caduta analoga a quella odierna e di ottanta anni fa. Infatti, il numero di paesi che accusarono diminuzioni del prodotto interno lordo nel 1873 e negli anni successivi fu abbastanza limitato. Tuttavia quella crisi fu avvertita pesantemente dalle borse ed ebbe conseguenze profonde e durature sulle economie, determinando un lungo strascico di problemi in molti settori produttivi, nell'occupazione e nel commercio internazionale.
Le cause che determinarono la depressione del 1873 furono in effetti assai simili a quelle che hanno provocato la crisi odierna, mentre il crack del '29 originò principalmente da altri fattori, come la sovrapproduzione di beni di consumo in America e la conseguente crisi bancaria e azionaria, senza dimenticare il fatto che l'Europa era nel '29 profondamente divisa e debole, con la Germania ancora afflitta dalle difficoltà conseguenti al pagamento dei debiti della prima guerra mondiale. La crisi del '29,inoltre,non fu assolutamente causata da un eccesso di debiti delle famiglie per i mutui sulla casa e il credito al consumo, come è avvenuto stavolta negli Stati Uniti e in molti altri paesi.
Viceversa, come ha rilevato Nelson, la crisi del 1873 originò come quella di oggi dai problemi del settore immobiliare in Europa centrale e in Francia e si trasferì poi rapidamente al settore finanziario, propagandosi alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti con un crollo generalizzato delle borse. Osserva Nelson che intorno al 1870 negli stati dell'Europa continentale prese avvio un boom incontrollato del settore delle costruzioni municipali e residenziali, specialmente nelle capitali di Vienna, Parigi e Berlino, favorito anche da una eccessiva fioritura di istituzioni finanziarie specializzate nell'erogazione di mutui immobiliari concessi con sempre maggiore facilità e senza adeguate garanzie.
La vittoria militare sulla Francia nel 1871 e i relativi incassi per le riparazioni di guerra generarono in Germania un'euforia di investimenti in ferrovie, fabbriche, scali portuali e navi che si aggiunsero agli investimenti nel settore delle costruzioni. Quando la borsa di Vienna crollò nel maggio 1873, generando un panico diffuso, le banche inglesi ritirarono rapidamente i loro capitali dal continente e il costo del credito interbancario in Europa andò alle stelle, proprio come è avvenuto nell'odierna crisi.
La crisi bancaria si propagò rapidamente anche agli Stati Uniti colpendo in modo particolare il settore delle ferrovie, che già da qualche tempo era in difficoltà poiché non riusciva più a finanziarsi attraverso l'emissione di obbligazioni, ma doveva ricorrere in misura crescente ai prestiti a breve dalle banche. Il 18 settembre del 1873 la Jay Cooke & Company, uno dei maggiori istituti del mondo bancario americano pesantemente coinvolto nei collocamenti obbligazionari della compagnia ferroviaria Northern Pacific Railway, dichiarò bancarotta. Come la Lehman Brothers anche la Jay Cooke era un istituto sistemico e gli effetti furono disastrosi sull'intero sistema finanziario americano e internazionale. I prezzi a Wall Street precipitarono, scoppiò il panico e invano il governo statunitense annunciò che avrebbe comprato parecchi milioni di dollari di obbligazioni cercando di iniettare liquidità e fiducia nel sistema. Il presidente degli Stati Uniti Ulisse Grant, consultandosi con i più autorevoli uomini d'affari dell'epoca come Cornelius Vanderbilt e Henry Clews, cercò senza riuscire di arginare la catastrofe. Sull'arco della crisi decine di membri dello Stock Exchange e migliaia di compagnie mercantili fallirono. Fu ripristinato il gold standard nel tentativo di stabilizzare la moneta e di frenare l'inflazione e la speculazione.
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