«...
PAGINA PRECEDENTE
Siamo dunque concordi nell'auspicare una maggior crescita dell'Italia e interventi efficaci ad essa finalizzati. Ma non ci facciamo molte illusioni sul futuro, perché il mondo intero ha davanti a sé uno scenario di bassa crescita.
Nello stesso tempo, ci auguriamo che di fronte al cambiamento epocale di prospettiva che questa crisi ha determinato vengano definitivamente superati i luoghi comuni sull'Italia, sulla sua presunta bassa competitività internazionale, sulla sua specializzazione "sbagliata" e sul nanismo delle sue imprese. E lasciamoci alle spalle definitivamente anche i falsi miti degli indicatori aggregati di produttività. Perché non è in questi elementi che si sono annidati in passato o si annidano ora i limiti alla nostra crescita. Se continuiamo a sbagliare la diagnosi, continueremo a sbagliare anche le ricette.
Ci limitiamo a un solo esempio. Se consideriamo i paesi del G-6 e l'intervallo 2005-2008 analizzato anche da Tabellini e Barba Navaretti, osserviamo che secondo l'Onu l'Italia è l'economia che ha aumentato maggiormente il suo export manifatturiero sia in valori correnti (+44%) sia in volume (+22%). E nel 2008, secondo la Wto, il surplus manifatturiero con l'estero del nostro paese è stato di ben 103 miliardi di dollari. Segno che non siamo né "nani" né specializzati male.
Nel 2009, poi, a causa della crisi globale, l'export manifatturiero complessivo del G-6 è tornato a livelli inferiori a quelli del 2006. Ma l'Italia ha perso solo 16 miliardi di dollari rispetto a tale anno. Meglio di noi ha fatto solo la Germania con meno 8 miliardi. Tutti gli altri paesi hanno fatto molto peggio e rispetto al 2006 hanno perso: 21 miliardi la Francia, 49 miliardi gli Stati Uniti, 78 miliardi la Gran Bretagna e 78 miliardi il Giappone.