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Ma il Pil pro capite è sceso ai livelli del '99

di Vincenzo Visco

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6 aprile 2010

È sorprendente come il dibattito sulla crisi del debito greco non abbia stimolato una discussione approfondita sulla situazione dell'economia italiana. Per lo più, ci si è limitati a compiacersi del fatto che al momento attuale i "mercati" hanno nel loro mirino, prima dell'Italia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. Ciò tuttavia non esclude che situazione dell'economia italiana sia molto seria, e che a medio termine potremmo trovarci di fronte a una crisi molto difficile da governare. Può essere utile ragionare sulla base di alcuni dati di fatto. Nel 2009 il Pil dell'Italia si è ridotto di circa il 5%; la contrazione più elevata dal 1945. L'Italia inoltre ha fatto peggio degli Usa e di tutti i paesi europei, esclusa l'Irlanda.

Nel biennio della crisi 2008 e 2009, la riduzione del Pil è risultata pari al 6%, a fronte del -3,3% dell'area euro, del -2,9% dei paesi Ocse, del -2,1% degli Usa, e del -3,7% della Germania. Il Pil pro-capite italiano è così ritornato ai livelli del '99, 10 anni fa! Gli italiani si stanno impoverendo anno dopo anno rispetto ai cittadini degli altri paesi: posto pari a 100 il Pil pro-capite a parità di potere d'acquisto dei 27 paesi della Ue, si può verificare che nel 2000 l'Italia si collocava a un livello di 117, pressoché eguale a quello di Germania, Francia, Regno Unito; oggi l'indice è sceso a 98,6, più prossimo al 95,8 della Grecia a al 93,4 di Cipro che non a quello dei paesi più ricchi, rimasti più o meno dove si trovavano.

La ridottissima crescita italiana deriva - come noto - da una bassissima dinamica della produttività. Analogo deludente andamento presenta la produttività totale dei fattori. Se non riusciremo rapidamente a invertire questo trend negativo, i guai diventeranno molto seri, soprattutto perché in Europa siamo l'unico paese che non riesce a crescere decentemente.

L'Italia nel dibattito economico-finanziario è classificata tra i cosiddetti Piigs, acronimo poco gratificante riservato ai paesi più fragili della zona euro caratterizzati contemporaneamente da un forte disavanzo di bilancio (in Italia oggi più basso che altrove), da un elevato debito pubblico (il primato dell'Italia sarà probabilmente battuto dalla Grecia) e da un consistente disavanzo della bilancia dei pagamenti: oltre 2 punti di Pil in Italia con tendenza a crescere. L'Italia (come gli altri Piigs) quindi vive al di sopra delle sue possibilità, e quindi deve "rientrare", riequilibrare i suoi conti e recuperare competitività.

La situazione della nostra finanza pubblica è solo apparentemente e transitoriamente migliore di quella degli altri paesi più sviluppati. L'Fmi infatti valuta che il debito pubblico dei paesi più sviluppati aumenterà tra il 2008 e il 2014 di 40 punti percentuali, il che comporterebbe un aumento di 2 punti dei tassi di interesse. Dato il livello del nostro debito pubblico, ciò può voler dire per l'Italia un aumento della spesa per interessi di almeno 2,5 punti del Pil nei prossimi anni; in una situazione in cui la spesa corrente tra il 2000 e il 2009 è già cresciuta dal 43,6% del 2000 al 48% del 2009 nonostante la forte riduzione dei tassi d'interesse intervenuta, e l'avanzo primario si è ridotto dal 5% circa del periodo 1998-2000 al -0,5% attuale, i rischi d'insolvenza possono diventare molto concreti.

La terapia cui è stata sottoposta la Grecia anticipa le misure che saranno imposte agli altri Piigs (l'Irlanda si sta già muovendo autonomamente nella stessa direzione). Un recupero di competitività, in un regime di moneta unica, può avvenire solo attraverso la riduzione del disavanzo pubblico (aumento d'imposte e/o riduzione di spesa) e con la conseguente riduzione dei salari reali e se necessario nominali per rilanciare le esportazioni al costo di una prolungata stagnazione economica. Il paradosso è che se tutti i paesi in deficit adottano la stessa linea, non si sa a chi potrebbero esportare i loro prodotti.

Le alternative sono solo due: o l'Italia s'impegna in un processo accelerato di riforme strutturali importanti e incisive (e non si tratta più come 10 anni fa del mercato del lavoro e del suo costo), con tutti i costi politici che ciò comporta, soluzione che appare altamente improbabile nella situazione attuale; o viceversa l'Europa muta radicalmente l'indirizzo di politica economica finora seguito, la Germania accetta di azzerare il proprio surplus di bilancia dei pagamenti (mentre i Piigs cercano di eliminare i propri deficit) e si consente alla Bce una politica monetaria più in linea con quella della Fed e delle altre banche centrali. Questa ipotesi appare oggi ancora più improbabile (anche se sarebbe l'unica razionale). Ovviamente una combinazione delle due soluzioni sarebbe attuale.

L'Italia sembra quindi stretta in una tenaglia da cui è difficile uscire. Sarebbe utile discuterne: forse siamo ancora in tempo per fare qualcosa.

6 aprile 2010
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