I giornali hanno commesso errori nel pubblicare notizie che con le inchieste giudiziarie non avevano niente a che fare. Conversazioni private, persino teneri messaggi d'amore tra marito e moglie. Ma se per impedire la pubblicazione d'informazioni che notizie non sono, si arriva ad approvare misure come quelle contenute nel decreto intercettazioni discusso in commissione Giustizia al Senato, c'è qualcosa che non va. In concreto: il decreto vieterà la pubblicazione degli atti giudiziari, intercettazioni comprese, anche in sintesi, prima dell'udienza preliminare. Chiunque pubblichi intercettazioni rischia fino a quattro anni di carcere. In questi giorni un ministro, Claudio Scajola, si è dimesso per la pubblicazione di sintesi di atti processuali prima dell'udienza preliminare. Se il decreto fosse stato in vigore, non avremmo avuto notizia alcuna dell'inchiesta. Che cosa c'entra tutto ciò con la privacy? Con la gogna mediatica? I cittadini, in un paese libero, hanno il diritto di avere notizie utili alla formazione di un giudizio. I giornalisti rispondono civilmente e penalmente dei loro atti. Nessuno ha il diritto di eccedere, ma nessuno ha la facoltà d'imbavagliare.