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NODI DELLA POLITICA / Il bipolarismo naviga a vista

di Miguel Gotor

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6 Marzo 2010

Il corpo italiano è sottoposto a una fibrillazione ormai ventennale che ripropone continue variazioni sul tema di un medesimo conflitto: Berlusconi sì, Berlusconi no, oppure dipende. I più ottimisti per descrivere questa lunga fase osano ancora parlare di "transizione" e intanto i loro capelli si sono fatti sempre più bianchi. In realtà, un sistema politico che per due decenni indossa lo stesso abito narrativo è lì a dire che quel vestito, bello o brutto che sia, lo ha scelto e da esso si sente rappresentato. Ma quali sono gli elementi di novità di questo ventennio, ora che la stoffa sembra arrivata a un punto di consunzione senza ritorno?
Anzitutto, per la prima volta nella storia d'Italia l'alternanza al governo è divenuto un fatto compiuto e finora nessun esecutivo è stato riconfermato due volte di seguito. Per propri demeriti, certo, ma anche per un'inquietudine elettorale di fondo, accompagnata da una crescente insoddisfazione verso la qualità della classe dirigente.
Inoltre si è definito un sistema bipolare, in cui il centro politico è stato costretto a schierarsi da una parte o dall'altra del campo. Questa tendenza sembra irreversibile quanto le resistenze in grado d'impedire un'evoluzione bipartitica del sistema. Anzi, in entrambi i fronti si sono posizionate due forze intermedie, la Lega e l'Italia dei valori, in grado di condizionare i partiti maggiori grazie al loro potere di ricatto. Le due forze intermedie si avvicinano ai fratelli più grandi sotto elezioni, passano all'incasso e poi si allontanano riuscendo a sfruttare al massimo i limiti dell'attuale sistema e la crisi della politica che lo caratterizza.
La terza novità è la personalizzazione del messaggio politico: sia a destra, sia a sinistra sono state compiute robuste iniezioni di carattere plebiscitario, funzionali a preparare una cultura presidenziale trasversale in cui il leader è più importante del partito che rappresenta.
L'ultima è costituita dalle elezioni del 2008: Berlusconi ha sfondato oltre le previsioni delineando i tratti di una vittoria del berlusconismo come egemonia valoriale maggioritaria che va oltre la personalità del suo leader. Non bisogna sottovalutare la vitalità dell'attuale presidente del Consiglio, che troppi vedono bollito, scambiando i propri desideri con le realtà. Ha superato crisi di credibilità che avrebbero schiantato un toro e il modo con cui lo ha fatto dimostra, da un lato, l'ampiezza del suo potere (che è altra cosa dalla efficacia della sua politica) e, dall'altro, la capacità di rappresentare interessi reali e speranze che hanno sedotto gli italiani nel 2008, così come erano riusciti a farlo nel 1994, ma in modo opposto: agli esordi con l'idea dell'uomo nuovo che si è fatto da sé, ieri con l'idea che se c'è la crisi conviene affidarsi al più forte, anche se è vecchio.
Questi due anni di governo tuttavia hanno consegnato un risultato paradossale e forse imprevedibile: se il Polo di centro-sinistra non era riuscito a governare a causa di una maggioranza risicata e, pur essendo nato praticamente morto, ha resistito due anni grazie all'abilità di Prodi, quello di centro-destra sta governando a vista nonostante una maggioranza schiacciante. Allora il difetto è nel manico, non dipende dalla quantità delle maggioranze, ma dalla loro insufficiente qualità politica. In altre parole, il problema di fondo è il carattere strutturale dell'attuale crisi italiana, a prescindere da chi governa.
Purtroppo abbiamo la compresenza di un insieme di fattori che configurano una crisi di sistema: crisi di rappresentanza (di cui la legge elettorale, che nomina e non elegge i parlamentari, è esatta metafora), crisi di legittimità (di cui è espressione l'endemico e ormai nevrotico conflitto tra magistratura e governo), crisi di responsabilità (chi prende le decisioni, a ogni livello, chi controlla i trasgressori), crisi di autorevolezza che non riguarda solo il cosiddetto ceto politico, ma anche parti non secondarie della società civile, della pubblica amministrazione e del mondo imprenditoriale come le recenti vicende di corruzione raccontano. A complicare il quadro è il convincimento diffuso che oggi manchi lo spazio per ripetere il gioco del biennio '92-'93, quello degli indignati contro i corrotti, dell'antipolitica contro la casta, del bene contro il male, peraltro neppure tanto auspicabile per l'attuale opposizione visto che ha prodotto il fenomeno Berlusconi.
Ci sembra che la prima strada da imboccare per affrontare questa crisi sia avere la consapevolezza del suo carattere complessivo, che prescinda quindi dalla logica amico/nemico, il canto nostalgico e dominante di questo ventennio. La seconda è quella di immaginare la configurazione di nuovi equilibri politici, che dentro la scelta bipolare e al di fuori d'inverosimili ipotesi neocentriste possano consentire di affrontarla con coraggio, coinvolgendo le energie migliori del paese. Equilibri nuovi che non stiano dentro gli assi novecenteschi fascismo-antifascismo, comunismo-anticomunismo, destra-sinistra, ma guardino ai bisogni presenti e futuri dell'Italia: nazionali, repubblicani, costituzionali, laici, solidali e meritocratici. Ma non sarà facile, perché la strada è tutta in salita mentre la crisi sembra correre più veloce di noi.

miguel.gotor@unito.it

6 Marzo 2010
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