MITI CHE SE NE VANNO - Mezzo secolo di vita nostrana si specchia nei vizi e nelle virtu' dell'irripetibile Marcello
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Sul piano professionale, in un mestiere che Mastroianni ha affrontato con bella disinvoltura, ma con molto piu' impegno di quanto la sua modestia (reale, non recitata) non tendesse a far credere, e' come se l'attore avesse allargato alla sua immagine pubblica il tono (la scelta) dell'understatement. E se spesso ruoli troppo ambiziosi lo videro incerto o inadatto (per esempio, anche se ci si ostina a dire il contrario, quello di La dolce vita); e senza dubbio quello di Lo straniero, sciaguratamente chiestogli da un Visconti lontano le mille miglia dal romanzo di Camus e se spesso ebbe a figurare, rischiando coscientemente o per opportunita', in film brutti senza la forza di poterli salvare (e sono tanti, anche tra i famosi: da Dramma della gelosia a Todo modo, da La citta' delle donne a Verso sera, da La Pelle a Tre vite una sola morte, da Le due vite di Mattia Pascal a Splendor, da Stanno tutti bene a Uno due tre stella e ne dimentico...), altri di grande sostanza li si ricorda soprattutto per la sua partecipazione, anche quando di autori celebrati; e in altri e' stato perfetto, con una adesione piena al personaggio e alla misura della regia.
Parlo ovviamente di Otto e mezzo, I soliti ignoti, Il bell'Antonio, Divorzio all'italiana, I compagni, Cronaca familiare, Una giornata particolare, Ginger e Fred, dei film di Ferreri, e tra questi prima di tutti L'uomo dei cinque palloni, o Break-up, e anche dei film di De Sica con la Loren, mediocri operazioni di falso, ma 'giocate' con divertimento sincero e con estro convinto.
Fellini volle fare di lui una figura intellettuale e molti vollero ripetere questo cliche', da Antonioni ai Taviani a tanti altri, forzandolo in una direzione non sempre partecipata dall'attore con la necessaria convinzione, o meglio con la necessaria credibilita'.
Eppure, col tempo avverra' la credibilita', perche', col tempo, e diciamo pure a partire dal bellissimo Otto e mezzo che interpretava l'intellettuale nella veste di regista di cinema, quindi gia' meno austero e piu' compromesso, piu' vicino grazie all'autoironia felliniana alla misura della commedia..., con il tempo Mastroianni era diventato a suo modo un intellettuale anche se non lo dava a vedere.
Ricordo una chiacchierata di tanti anni fa sull'ipotesi di un Oblomov, un ruolo che mi pareva ideale per lui, cui pensava Bellocchio, ma in versione italiana, anzi piemontese, e spostato negli anni del fascismo. Mastroianni conosceva il libro perfettamente, e sapeva perfettamente cosa si sarebbe potuto tirarne e lui avrebbe potuto tirarne. L'impressione che ebbi fu un misto di saggezza e di cinismo. La prima come nobilitata, anche se apparentemente abbassata, da una autoironia piu' che insolita, e la seconda invece che lo riconduceva purtroppo, che' troppi erano i vantaggi che ne ricavava, a una comunanza di contesto con il mondo del cinema e con la nostra societa' influente e privilegiata.
Mastroianni era molto di piu' del 'noi' che oggi lo esalta riconoscendosi un po' abusivamente nelle sue piccole virtu', ed era meno di cio' che avrebbe dovuto e potuto essere. Ma possiamo davvero volergliene, oggi e qui, nella debolezza egonica della nostra cultura?