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I MERIDIANI SUL GIORNALISMO / GLI ARTICOLI DEL SOLE 24 ORE
Ma di chi e' stata la colpa? Di Nessuno

di Armando Torno

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6 OTTOBRE 1996

«Outis», la nuova opera di Luciano Berio, e' andata finalmente in scena ieri pomeriggio, dopo lo sciopero che ha annullato la prima assoluta

Oggi i lettori avrebbero dovuto leggere in questo spazio la recensione dell'Outis di Luciano Berio, la cui prima esecuzione mondiale era prevista mercoledi' 2 ottobre alla Scala. Come forse molti sapranno, uno sciopero ha annullato l'evento. Comunque, gia' dal primo ottobre era giunto da Roma il sottosegretario al tesoro Piero Giarda, che ha trattato la questione con i dipendenti ed e' riuscito a ratificare il contratto che era gia' stato siglato nel dicembre scorso e che sara' valido per quattro anni. La prima e' saltata, cosi' come lo spettacolo del 4 ottobre, ma ieri pomeriggio la macchina si e' di nuovo messa in moto: suggellato l'accordo, si e' andati in scena e l'8 e il 10 verranno recuperate le rappresentazioni soppresse.
Chi scrive, in compagnia degli altri critici musicali, e' stato convocato dalla Scala - proprio in vista del minacciato sciopero - la sera del primo ottobre, alla prova generale. Quello che leggete si riferisce dunque a quella sera e a quella particolare occasione. Ci sembra, tuttavia, che prima delle nostre considerazioni e' il caso di premetterne alcune suggerite dal buon senso e da quel gusto di civilta' che non riusciamo a dimenticare.
Innanzitutto: per questa prima assoluta di Berio erano giunti giornalisti dagli Stati Uniti e da altri nazioni europee. Si sa, Berio e' conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Milano li ha accolti con uno sciopero degli autoferrotranvieri (mattino del 2 ottobre), con una mancanza di taxi (erano i giorni della moda) e con il nuovo caos che si e' creato grazie all'apertura del centro. Infine con lo sciopero alla Scala. La capitale morale, come qualche buontempone ama chiamarla, ha lasciato sbigottiti quei poveri stranieri. Uno ci ha anche chiesto cosa stesse succedendo e noi, sorridendo e facendo spallucce, abbiamo risposto che «e' normale».
La seconda considerazione e' che nessuno ha colpa di quel che succede. Certo, non il sovrintendente del teatro (che gia' fa miracoli in una situazione come questa), ne' Berio (che abbiamo salutato all'intervallo e aveva i nervi simili alle corde dei violini), ne' il coautore del bellissimo testo, ovvero Dario Del Corno, uno dei nostri piu' illustri grecisti, che ha lavorato a lungosul testo di Outis («un'opera che non e' un'opera, che rinnega i postulati del tempo e le convenzioni della trama») e che si e' trovato a vivere nella realta' quello che aveva consegnato al libretto. Certo, potremmo assegnare qualche colpa a certe autorita' romane, ma e' come perdere tempo. In Italia la colpa e' sempre del governo precedente o, nei casi piu' gravi, di Mussolini o di Giolitti. Inutile poi farlo in un Paese che ha reintrodotto il ministero della cultura e, allo stesso tempo, con la solita 'manovrina' ha colpito con il suo vampiresco fisco anche i diritti
d'autore (schifo e vergogna!).
La terza e ultima considerazione va dedicata all'aria che tira. Come possiamo aver credito in Europa se non riusciamo nemmeno a mandare in scena con il calendario stabilito le opere create dai nostri artisti?
Ma perche' ci ostiniamo a chiedere per il futuro le Olimpiadi?
Vogliamo forse cadere definitivamente nel ridicolo? Per rimanere a Milano, basti ricordare che da un paio d'anni si sbagliano persino i tempi della disinfestazione per le zanzare e questi insetti si sono fatti aggressivi (il loro modello e' forse il fisco) e hanno gia' mandato numerosi contribuenti all'ospedale (poi ci sono quelli che si grattano durante i mesi estivi).
Detto questo, dobbiamo aggiungere che il dramma Outis (che su questo giornale ha presentato lo stesso Del Corno domenica scorsa, 29 settembre) non poteva trovare miglior palcoscenico di quello dell'Italia di oggi. Il paradosso, il tempo che ritorna periodicamente su se stesso, un'azione musicale che si muove, per usare le parole dello stesso Berio, «in una polifonia di evocazioni, dalla comunicazione alla non comunicazione, dalla realta' al mito», tutto cio' insomma richiama alla mente l'Ulisse omerico e anche certi dettagli che ci circondano.
Battute a parte, sulla scena della Scala, mentre i frammenti elaborati con grande abilita' da Del Corno venivano scortati dai nuovi suoni di Berio, si assisteva a qualcosa che ci riguardava. Ecco i tre clown con violino, trombone e fisarmonica che agitano una lugubre festa di morte con il valzer; udite poi gli spasimi sarcastici dei caduti; osservate l'asta in cui si vendono donne e bambini; entrate nel bordello dove si assiste alla decapitazione del denaro gia' cominciata in banca. Ma tutto cio', unito ai sapienti e efficaci giochi di luci e ai suoni che ritornano nel tormento degli archi, come un incubo o come un viaggio ciclico, fa in modo che l'ascoltatore inizi un suo viaggio di estrema riflessione in cui il tempo non rispetta le convenzioni nostre e i miti celebrano la loro ultima danza.
Dicevamo: di nessuno e' la colpa. Gia', Nessuno: cosi' si chiamo' Ulisse al cospetto di Polifemo. Nessuno lavora ancora per noi. O per Outis. O per altre cose che un valzer ha irriso definitivamente sul palcoscenico di una prova generale trasformata in prima assoluta.

6 OTTOBRE 1996
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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