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LE REGOLE PER IL TELEMARKETING / Libertà alla pubblicità ma con privacy tutelata

di Alberto Mingardi *

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6 Novembre 2009

Dopo un certo travaglio normativo, ad opera di un emendamento depositato dal senatore Lucio Malan (Pdl) e recentemente approvato, sta per cambiare in Italia la disciplina del telemarketing. Il marketing diretto non ha avuto grande fortuna, in Italia, nonostante per sua stessa natura sembri attagliarsi bene al nostro sistema produttivo. Imprese piccole, che hanno a disposizione un budget più limitato per promuoversi, hanno tutto da guadagnare da una pubblicità non "intermediata", e per questo meno impegnativa sul piano dei costi. Tuttavia, perché il marketing diretto possa essere profittevole ed interessante devono verificarsi una serie di fenomeni (a cominciare dalla disponibilità di "liste" acquistabili dai diversi operatori economici) ad oggi pressoché impossibili in Italia.
L'impostazione del Codice Privacy italiano rispetto alle informazioni commerciali è stata sinora quella dell'opt in: andava segnalato il consenso, non il dissenso, rispetto all'utilizzo a fini commerciali dei dati inseriti in elenchi pubblici da cui sia possibile "pescare" per operazioni di marketing telefonico. Se una raccomandazione del Consiglio d'Europa sottolinea che, in territorio europeo, «ogni persona dovrà poter raccogliere dati a carattere personale al fine di direct marketing raccogliendo i dati dagli schedari accessibili al pubblico o da altre pubblicazioni», nell'ambito della nostra normativa la compilazione di tali elenchi è stata lasciata agli operatori telefonici.
In una ordinanza del luglio 2007, il Tribunale di Roma evidenziava perché l'incastro della compilazione degli elenchi da parte di tali imprese, e del meccanismo dell'opt in, ponesse un problema di concorrenza. Paventava il Tribunale che «la conseguenza che il sistema del silenzio-diniego adottato abbia garantito alla Telecom di mantenere invariata la propria posizione dominante di mercato senza sottoporsi ad una effettiva competizione con le imprese concorrenti, giacché il mancato consenso al contratto manifestato dagli abbonati appare frutto più di un automatismo che di una scelta libera».
Nel 2009, per la verità, il settore è vissuto in una sospensione delle regole, in virtù di una norma del Milleproroghe 2008 che consentiva a tutti gli operatori di contattare a fini commerciali gli utenti inclusi in elenchi pubblici redatti prima del 2005, indipendentemente dal loro consenso.
Ora si passa ad un modello basato sull'opt out: gli utenti che non vogliono essere chiamati dovranno iscriversi (con una telefonata o una mail) in un apposito Registro delle opposizioni, attivo presso il Garante della privacy, che il governo ha sei mesi di tempo per costituire. L'esempio di riferimento è quello della cosiddetta Robinson List inglese.
Questa piccola rivoluzione normativa ha intercettato timore e perplessità, da parte della stampa. In Europa i due modelli, opt in e opt out, convivono, e la questione tocca corde sensibili. Il telemarketing è più "invasivo" della pubblicità televisiva o radiofonica. E anche se il nuovo registro promette di lasciare in pace quei cittadini che lo chiedano espressamente, l'equivalenza fra telefonate a scopo commerciale e "scocciature" si è rapidamente affermata nel discorso pubblico.
Se non tutte le offerte che ci raggiungono telefonicamente sono di nostro interesse, è indubbio che ci sia in questo caso un problema di tipo diverso. Un problema di carattere culturale, dovuto ad una incomprensione profonda su quello che è il ruolo della pubblicità in una economia di mercato. La stessa esistenza della pubblicità testimonia la sua utilità nell'influenzare le scelte degli individui. Se non servisse allo scopo, non avrebbe senso continuare ad investirvi tante risorse.
Tuttavia, la réclame non coarta le volontà: piuttosto, fornisce informazioni. L'investimento in pubblicità non è un "spreco" per le aziende, che dirottano su questo capitolo di spesa risorse che sarebbero meglio investite altrimenti. Si tratta, al contrario, di una parte fondamentale del lavoro dell'imprenditore.
La pubblicità è un modo in cui si abbassa l'asticella, e che l'asticella si abbassi è fondamentale non tanto e non solo per i grandi ed i grandissimi, che hanno brand molto riconoscibili e che riescono ad imporsi sul mercato anche senza innovare continuamente. È invece imprescindibile per i piccoli e per i "nuovi", che sgomitano per farsi conoscere dai clienti potenziali. Ma se non sono messi in condizione di "allertare" i consumatori, se non possono segnalare la loro presenza, come faranno a trovare acquirenti? Il passaggio dall'opt in all'opt out ha due conseguenze positive. In primo luogo, rende più contendibile il bacino dei clienti delle grandi aziende. In seconda battuta, inizia un percorso che può portare anche le piccole e medie aziende ad accedere a forme di marketing diretto, meno costoso della pubblicità sui media e più controllabile, nei suoi ritorni, dei messaggi nella bottiglia affidati al circuito pubblicitario tradizionale. Il tutto in un quadro nel quale chi non vuole essere "seccato" può espressamente dichiararlo, ma in cui tutto ciò che non è proibito è lecito. Come dev'essere in una società libera.
* Alberto Mingardi è Direttore generale dell'Istituto Bruno Leoni

6 Novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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