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Il golpe dei «lodi» e la politica che s'è fermata

di Stefano Folli

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6 Ottobre 2009
Carlo De Benedetti (a sinistra) con Silvio Berlusconi (Infophoto/Ravagli)
IL PUNTO
di Stefano Folli

Davvero qualcuno sta tramando per rovesciare il responso delle urne, che nel 2008 diede una larga maggioranza al centrodestra e a Silvio Berlusconi? L'accusa, tanto generica quanto drammatica, tiene banco nelle cronache politiche delle ultime ore e va presa molto sul serio. Se fosse vera, saremmo in presenza di un fatto eversivo e sarebbe dovere di tutti, a cominciare dal presidente della Repubblica, mobilitarsi in difesa della democrazia. Ma un'accusa di questo genere va dimostrata con argomenti convincenti. Viceversa, fin qui siamo nel regno delle nevrosi. E le nevrosi, quando si protraggono nel tempo, sono dannose per le istituzioni non meno che per gli esseri umani.
In realtà i due capigruppo del partito di maggioranza che hanno alluso all'eversione hanno citato, in concreto, la sentenza sul lodo Mondadori che obbliga la Fininvest a versare 750 milioni di euro alla Cir di De Benedetti. Si afferma che la tempistica del provvedimento è sospetta, a dir poco, in quanto s'intreccia con l'imminente pronuncia della Consulta sul lodo Alfano (quello che garantisce l'immunità alle quattro alte cariche dello Stato).
Tutti capiscono che si tratta di questioni diverse e di differente impatto sulle istituzioni. La prima, cioè il caso Fininvest-Cir, riguarda un'impresa privata, sia pure di proprietà del presidente del Consiglio. Affermare che la sentenza mina la stabilità uscita dalle urne significa riportare sul proscenio, in modo certo involontario ma clamoroso, il tema antico del conflitto d'interessi. Del resto, non esiste una "tempistica" adatta a un personaggio pubblico come Berlusconi, che da quindici anni è protagonista assoluto della vita del paese: spesso, come ora, alla guida di governi.
La seconda questione - l'incombente giudizio della Corte sul lodo Alfano - è invece suscettibile di innescare conseguenze politiche incontrollabili. Le indiscrezioni parlano di una perdurante incertezza tra i giudici costituzionali. Ed è chiaro che una sentenza avversa alla tesi del governo, tale da stabilire l'incostituzionalità del lodo, porrebbe il presidente del Consiglio in una posizione di enorme, forse irreparabile difficoltà. Le nevrosi delle ultime ore sono figlie di questo timore. Ma sono solo un modo di accrescere il danno.
Mescolando in modo incongruo i due lodi, Mondadori e Alfano, certi esponenti del Pdl non aiutano il premier, ma ne rivelano la debolezza. Lasciando trapelare la propensione a ricorrere alle urne contro gli eversori (la Corte Costituzionale? la magistratura?), aggiungono confusione a confusione e disorientano l'opinione pubblica in un momento in cui gli italiani pensano alla crisi economica più che alla guerra dei lodi.
Bene allora ha fatto Berlusconi, in un momento per lui carico di angoscia, a mostrarsi determinato: per quanto «allibito», sono sue parole, intende «andare avanti e governare fino al 2013», cioè alla scadenza naturale della legislatura. Un premier ha il dovere di mostrarsi fiducioso e di infondere sicurezza nei cittadini. Alimentare le ansie collettive significa invece venir meno alla responsabilità istituzionale di chi ha ottenuto, poco più di un anno fa, un'investitura popolare senza precedenti.
La questione Fininvest-Cir è opportuno che resti del tutto fuori dalla stanza della politica. E la pronuncia della Corte sarà valutata nel momento in cui diverrà di pubblico dominio. Fino ad allora Berlusconi non può far altro che adempiere con convinzione e serenità ai suoi doveri, se possibile spiegando ai suoi collaboratori che una maggioranza di governo sa tenere i nervi saldi. E che una pressione così esplicità sugli organi costituzionali può essere persino controproducente.
Del resto su un punto il Pdl e la Lega hanno ragione. La composizione del Parlamento è stata decisa dagli elettori e non sono possibili operazioni avventurose per cambiare questo dato di fondo. Il presidente della Camera si è affrettato a ricordare questo punto e così ha sgombrato il campo da tante ipotesi poco credibili. Anche perché i cosiddetti «governi istituzionali» o «del presidente» nascono solo in certi momenti d'emergenza e mai come frutto di un calcolo di bassa cucina politica.
Quello che serve è una maggioranza che sappia lavorare con continuità a beneficio del paese e che non ceda alla tentazione un po' paranoica del «complottismo». Non c'è mai stata nel Parlamento del dopoguerra una coalizione così forte sul piano numerico e politico. Perdere questa occasione sarebbe grave. Imperdonabile sarebbe coltivare il sogno insensato del ritorno alle urne per una sorta di resa dei conti finale, quando invece si tratta di unire il paese, non di lacerarlo.

6 Ottobre 2009
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