Gino Giugni lascia un'eredità scomoda perché entra nel corpo vivo della dialettica sociale. Ed è soprattutto nella necessità di rivedere alcune norme tabù dello statuto dei lavoratori da lui stesso scritto nel '69. Per primo comprese che era anacronistica la parte sul monopolio del collocamento pubblico e sull'obbligo di chiamata numerica. Che infatti hanno subito i colpi della modernizzazione, più forte di qualunque ideologia. Sono due adesso gli obiettivi indicati dal principe dei giuslavoristi italiani: potenziare la contrattazione di secondo livello e migliorare le norme sui licenziamenti. Il primo è stato raggiunto con le nuove regole per le relazioni industriali firmate da poco (senza Cgil) e già applicate nel contratto degli alimentaristi. Avranno bisogno di ulteriori risorse pubbliche con cui incentivare la defiscalizzazione dei premi aziendali, ma sono in marcia. La seconda invece è oggetto di pregiudizio ideologico e non trova una composizione razionale. Ci sono diverse ipotesi di lavoro, non ultima la proposta di Pietro Ichino sul contratto a tutele variabili e crescenti. Sarebbe una base di discussione se solo il confronto cominciasse.