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QUESTIONE MERIDIONALE / Per il Sud una riforma non basta

di Antonio Maccanico *

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6 Ottobre 2009

Da luglio la questione meridionale ha riacquistato spazio: il 16 luglio è stato presentato il rapporto Svimez, che ha avuto straordinaria eco. La validità del documento è stata confermata da una ricerca della Confindustria sull'economia del Mezzogiorno.
Ciò che impressiona è la non certo nuova scoperta che a 150 anni dall'unità dello stato il divario tra le due Italie non è stato eliminato, in certo modo si è aggravato.
Le reazioni delle forze politiche a questi dati sono state improvvisate. Si è parlato di ritorno alle gabbie salariali, di partito del Sud, di piano Marshall per il Sud. Sono state sottolineate le responsabilità delle classi dirigenti meridionali.
Una riforma delle amministrazioni pubbliche, vitale per il Sud, è impensabile fuori da un quadro istituzionale ben definito. Si intende che un indirizzo politico efficace per l'economia del Sud presuppone un quadro istituzionale e amministrativo adeguato. Nei 150 anni di unità sono stati registrati due fallimenti: lo stato prefettizio, burocratico, accentrato, finito con il fascismo, e lo stato delle autonomie regionali della Costituzione del 1948.
All'inizio del nuovo secolo ci si chiede se, in un paese duale come l'Italia, un assetto istituzionale di forti autonomie, di tipo federale sia in grado di consentire gli indirizzi di governo necessari a un'efficace politica di unificazione economica. Con la riforma del titolo V della Costituzione del 2009 si è dato vita a un nuovo modello di organizzazione statale.
Su questa riforma molte polemiche, ma poche riflessioni. Essa nasce dall'esigenza di conciliare la legittima aspirazione della parte più sviluppata del paese a una maggiore autonomia e a un più robusto autogoverno e la necessità di assicurare all'area meno sviluppata (circa un terzo della comunità nazionale) i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere assicurati ai cittadini, e la destinazione da parte dello stato di risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo, la coesione sociale.
Il testo della riforma ha necessità di correzioni ed emendamenti, ma è innegabile che delinea un sistema a geometria variabile, di autonomie anche forti per le aree a maggiore capacità di autogoverno, e di responsabilità diretta dello stato, del governo, per le politiche di sviluppo delle aree a minore capacità fiscale, e cioè per la macroregione che è il Mezzogiorno.
I due poli di questo equilibrio sono al terzo comma dell'articolo 116, che prevede "ulteriori forme e condizioni di autonomie" analoghe a quelle delle regioni ad autonomia speciale, che possono essere conferite ad alcune regioni, e il quinto comma dell'articolo 119, che prevede risorse aggiuntive dello stato per lo sviluppo e l'eliminazione degli squilibri nelle aree a minore capacità fiscale. È positivo che si sia iniziata l'attuazione della riforma a partire dall'articolo 119 sul federalismo fiscale, anche se la legge delega approvata suscita interrogativi ai quali i decreti delegati potranno dare risposta nei due anni di durata della delega. La riforma non può limitarsi all'articolo 119.
Vi è il problema dell'articolo 117, cioè della legislazione concorrente stato-regioni, che è dominata da incertezze sulle competenze affidate agli interventi della Corte costituzionale. Vi è la disposizione dell'articolo 118, che stabilisce che "le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni"; ciò comporterebbe un esame dell'idoneità degli 8mila comuni, in particolare quelli del Mezzogiorno, a questo compito e la valutazione delle dimensioni minime necessarie per svolgerlo. Va considerato se il modello di governance di comuni, province e regioni abbastanza contraddittorio (elezioni popolari dirette dei capi degli esecutivi e leggi elettorali proporzionali per i consigli) sia l'ideale per un paese a struttura federale, con spinte contrastanti all'aggregazione e alla frammentazione politica. Nel Mezzogiorno questo modello di governance è il meno indicato a contenere le degenerazioni clientelari.
Vi è infine il problema della riforma del bicameralismo paritario e la questione della rappresentanza nazionale delle regioni. Quanto alle risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo delle aree in ritardo ed eliminare gli squilibri, bisognerebbe prevedere una struttura ad hoc.
Il federalismo fiscale è necessario per assicurare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tutto il territorio e per eliminare sprechi tramite la cancellazione della spesa e la determinazione del costo del fabbisogno standard per i servizi presenti nelle regioni, e cioè per mettere ordine nella spesa ordinaria. Serve la struttura per attuare il quinto comma dell'articolo 119, lo strumento dello stato per utilizzare le risorse aggiuntive destinate allo sviluppo del Sud secondo un piano di interesse nazionale. Il Mediterraneo è ridiventato centrale nei traffici: l'Italia può svolgere un ruolo importante di natura logistica, lungo le direttrici Berlino-Palermo e il corridoio 8 verso Puglia e Balcani.
  CONTINUA ...»

6 Ottobre 2009
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