Utilità e limiti del welfare locale "fai-da-te" in chiave anticrisi. Un corposo dossier di Legautonomie fa il punto su un fenomeno poco sondato ma ricco di indicazioni preziose su come regioni e comuni, in particolare, si muovono a sostegno di famiglie, occupazione e imprese. Da Nord a Sud facendo leva sul "territorio", parola entrata di forza nel vocabolario della politica con la prospettata riforma del federalismo fiscale e richiamata spesso come antidoto ai guasti della finanziarizzazione globale.
Colpisce, innanzitutto, la varietà di interventi messi in campo, a prescindere dal colore politico delle diverse amministrazioni. Qualche esempio. L'Emilia Romagna potenzia l'offerta di posti nei nidi d'infanzia con un assegno alle famiglie per garantire il mantenimento della situazione occupazionale dei componenti il nucleo familiare. Il Friuli integra la social card del 50% e assegna per quattro mesi un contributo ai lavoratori sospesi che volontariamente prestino soccorso alle popolazioni terremotate. La Lombardia prevede un contributo di 1.500 euro per le famiglie con almeno tre figli minorenni. La Toscana eroga contributi per tagliare le bollette dell'acqua per uso domestico.
Dalle regioni ai comuni, la fantasia (di sovente virtuosa) cresce. Capannori (Lucca) prevede che le imprese possano ricevere finanziamenti fino a 50mila euro pagando solo l'euribor, con spread a carico del comune (prestito restituibile in tre anni). Padova promuove la convenzione con i Caaf per l'accesso a costo contenuto ai servizi relativi alla gestione fiscale delle partite Iva. Reggio Emilia sostiene l'accesso al credito delle imprese edili. Verona garantisce l'impegno delle banche con le imprese per la sospensione del pagamento della quota capitale dei mutui in corso.
Naturalmente, si tratta in tutti i casi di interventi anticrisi aggiuntivi rispetto a quanto messo in campo dal governo. Parliamo in ogni caso di milioni e, spesso, di qualche centinaio o decina di migliaia di euro. Si fanno i conti con risorse limitate, tra vincoli del patto di stabilità e taglio di trasferimenti dal centro. Ma non c'è dubbio che il reticolo di iniziative sul territorio, dove prevale una sorta di senso primario della coesione sociale, contribuisce ad ammortizzare le conseguenze della crisi. E si presenta come la faccia buona dello stesso "capitalismo di relazioni": a livello locale è più facile che banchieri e imprenditori, magari grazie all'iniziativa di un sindaco, possano guardarsi negli occhi all'insegna della fiducia reciproca.
Ma certo si potrebbe fare molto di più, e non solo urlando a Roma contro la politica dei tagli o facendo lobbismo contro le sforbiciate previste dalla bozza del nuovo codice delle autonomie approvato nel luglio scorso dal governo "in via preliminare" (a proposito: che fine ha fatto? Dobbiamo ancora tenerci stretti, ad esempio, i consorzi di bonifica?). Basta guardare alle voragini appena certificate dalla corte dei conti sulla spesa sanitaria delle regioni: 108 miliardi di deficit, quasi tutti concentrati in Lazio, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Per non dire della pervasività (e dei costi) del "socialismo municipale" fatto da oltre 5mila società controllate dalle amministrazioni locali.
Sì, si potrebbe fare molto di più.
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