Ci sono varie specie di viaggiatori d'Occidente. E diverse sono le motivazioni che li muovono. Ryszard Kapuscinski individuava come molla il continuo bisogno di stupirsi, senza il quale un uomo è «interiormente svuotato, ha il cuore bruciato». Faro dei travel writers dell'ultimo mezzo secolo - assieme a Bruce Chatwin, troppo british per stupirsi (emblematico un suo titolo: Che ci faccio qui?, Adelphi, 2004) ma osservatore acutissimo - Kapuscinski è infine diventato a sua volta un titolo nell'olimpo della letteratura con la pubblicazione della sua opera completa nella collana Meridiani (Mondadori, 2009).
C'è stata però un'epoca in cui gli scrittori errabondi erano snobbati dalla critica e relegati nella categoria narrativa per ragazzi. Solo quando i ragazzi degli anni 50 (cresciuti con Kim e Zanna Bianca) sono diventati grandi e seguaci di Kerouac hanno conquistato i ripiani nobili delle librerie. E ancora oggi possiamo riscoprirne scritti misconosciuti come Oltre la porta d'oro. Un viaggio negli Stati Uniti da costa a costa (Editori Riuniti, 2002) di un giovane Rudyard Kipling immerso nell'età dell'innocenza americana, in quella San Francisco in cui si stava appena facendo le ossa Jack London prima d'imbarcarsi (anche) per i Mari del Sud e lì incontrare Un figlio del sole. Le avventure di David Grief (Robin, 2008). London seguiva la scia dei suoi dichiarati ispiratori Stevenson e Melville. Trovava paradisi già in via di perdizione e avventurieri in febbrile attività.
Tattica molto diffusa, quella di seguire le orme lasciate da illustri predecessori. Specie di questi tempi, in cui non c'è più niente da scoprire ma tutto da rivisitare, avendo cura di evitare i circuiti omologati del turismo di massa, inoltrandosi con passo lento in antichi itinerari caduti in disuso, descrivendone l'attualità ed evocandone il passato. Così Mario Biondi sul percorso seguito da Alessandro Magno (Con il Buddha di Alessandro, Ponte alle Grazie 2008), Paolo Rumiz sulle tracce di Annibale. Un viaggio (Feltrinelli, 2008), Tim Mackintosh Smith all'inseguimento del fantasma di Ibn Battutah (La strada di Tangeri, Rizzoli, 2002), Colin Thubron alla ricerca di Ombre sulla via della seta (Tea, 2008). Già, proprio quella via resa celebre in Occidente da Marco Polo, il cui Milione ha avuto un'edizione integrale in italiano corrente solo nel 2002 (Tea) e sulle cui tracce ha avuto la tentazione di avventurarsi Rolf Potts, teorico del vagabonding. Poi ha riflettuto che per un «viaggiatore postmoderno», come Potts ama definirsi, non era il caso di arrancare dietro ad archetipi. Dunque ha cambiato il titolo in Marco Polo non c'è mai stato. Dieci anni di storie di un viaggiatore postmoderno (Ponte alle Grazie, 2009). Finendo per stupirsi constatando che neanche Salgari è mai stato in Malesia, eppure ne ha descritto gli scenari come fosse casa sua.