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Bisogna inoltre considerare gli effetti positivi sui paesi d'origine che derivano dalle rimesse degli emigranti e dai rimpatri degli emigrati qualificati; sia coloro che sono emigrati dopo essersi qualificati in patria, sia coloro che hanno acquisito un'istruzione all'estero. Si stima che più del 30% degli emigranti ritorna in patria dopo due decenni di studio e di lavoro all'estero. La metà delle imprese nate nel distretto tecnologico dell'isola di Formosa è stata fondata da emigrati ritornati in patria. Una cosa analoga accade in Cina.
Queste analisi consentono di valutare in modo positivo gli effetti della fuga dei cervelli per i paesi in via di sviluppo, dove il problema della crescita del capitale umano è urgente. Si può affermare che, dove il livello e la qualità dell'istruzione sono particolarmente bassi, l'opportunità d'emigrare determina una domanda, e dunque un'offerta, d'istruzione di qualità elevata. Naturalmente, l'effetto positivo di questo fenomeno sui paesi d'origine è tanto maggiore quanto maggiore è la quota di lavoratori che decidono di non emigrare.
Ciò significa che le politiche dei governi nel campo della ricerca, della qualità dell'ambiente imprenditoriale e delle infrastrutture possono aiutare molto più delle barriere alla mobilità del lavoro per trasformare la fuga dei cervelli in un processo virtuoso di scambio. Gli immigrati che hanno, negli Usa, un reddito superiore alla media (dei lavoratori con pari qualifica e età) provengono da paesi relativamente ricchi caratterizzati da una scarsa disuguaglianza dei redditi. Questo suggerisce che il fenomeno della fuga dei cervelli colpisce in modo particolare i paesi dove il talento è poco remunerato.
Testo tratto dalla Prolusione per l'apertura dell'anno accademico della Luiss di Roma, che si è svolta il 5 febbraio