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Controcorrente / Il deficit Usa? Isteria eccessiva

di Paul Krugman

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07 febbraio 2010

Di questi tempi è davvero impossibile prendere in mano un giornale o sintonizzarsi su un telegiornale senza imbattersi in preoccupati moniti sul deficit del bilancio federale degli Stati Uniti. Apprendiamo così che il deficit rischia di compromettere la ripresa economica, che potrebbe risultare pernicioso per la stabilità economica americana, che pregiudicherà la autorevolezza degli Usa e il loro status nel mondo. Queste affermazioni di solito non sono espresse come opinioni, come pareri di alcuni analisti contestati da altri: sono riportate come se fossero dati di fatto, puri e semplici.
Non sono dati di fatto, però. Molti economisti hanno sul deficit di bilancio opinioni più pacate e serene di quelle di cui si sente parlare in televisione. Né del resto gli investitori paiono eccessivamente preoccupati: le obbligazioni del governo statunitense continuano a trovare acquirenti disponibili, perfino a tassi di interesse bassi come non mai. Le prospettive del budget sul lungo periodo sono problematiche, ma i deficit a breve termine non lo sono, e da un certo punto di vista anche quelle a lungo termine sono meno terribili di quanto l'opinione pubblica sia indotta a credere.
Come spiegare quindi questa fulminea onnipresenza di considerazioni pessimistiche sul deficit? Non la si spiega con alcun notizia concreta reale. Era ovvio da almeno un anno che il governo degli Stati Uniti avrebbe dovuto affrontare un prolungato periodo di deficit enormi, e le proiezioni di questi deficit non sono cambiate granché dalla scorsa estate. Nondimeno il rullare dei tamburi e i foschi e cupi moniti fiscali si moltiplicano e si vanno facendo sempre più assordanti.

A me sembra - e non soltanto a me - che l'improvviso dilagare dell'isteria sul deficit richiami alla memoria il sistema di pensiero che prese piede nel periodo antecedente alla guerra in Iraq. Adesso come allora si riportano e si ripetono vaghe accuse non accompagnate da prove e non suffragate da certezze, come se fossero state appurate al di là di ogni ragionevole dubbio. Adesso come allora buona parte dell'establishment politico e mediatico si è convinto che dobbiamo intervenire drasticamente e al più presto, anche se non c'è nulla di davvero nuovo che legittimi questa improvvisa urgenza. Adesso come allora quanti mettono in discussione gli argomenti preponderanti - a prescindere da quanto solide possano essere le loro motivazioni e di quanto incontestabile possa essere il loro background - si ritrovano emarginati. Infine, alimentare le paure con dicerie prive di attendibilità potrebbe finire con l'arrecare tanto danno quanto le dicerie prive di attendibilità sulle armi di distruzione di massa.

Esaminiamo un momento la realtà del bilancio: contrariamente a ciò che avrete sentito affermare spesso, l'enorme deficit che ha attualmente il governo federale non è l'esito di un crescita incontrollata delle spese. Al contrario: oltre la metà di esso è dovuta alla crisi economica in corso, che ha provocato un drastico calo degli introiti fiscali, ha imposto il salvataggio in extremis da parte dei governi federali delle istituzioni finanziarie, ed è stata tamponata - come era opportuno fare - da provvedimenti temporanei per stimolare la crescita e sostenere l'occupazione.
Il punto è che gestire grossi deficit nel mezzo della peggiore recessione economica registrata dagli anni Trenta a oggi è la cosa giusta da fare. Se non altro, i deficit dovrebbero essere ancora più grandi di quello che sono, perché il governo dovrebbe fare più di quello che fa per creare posti di lavoro.

È vero: c'è un problema di budget a lungo termine. Nemmeno una piena ripresa economica potrebbe rimettere in pari il bilancio, e probabilmente non riuscirebbe neanche a ridurre il deficit portandolo a un livello sostenibile a tempo indeterminato. Pertanto, una volta passata la crisi economica, il governo degli Stati Uniti dovrà necessariamente aumentare i propri introiti e tenere sotto controllo le proprie spese. Sul lungo periodo, non ci sarà altro modo di far quadrare i conti che facendo qualcosa di concreto per le spese dell'assistenza sanitaria.
In ogni caso, non vi è motivo di lasciarsi prendere dal panico sulle prospettive di bilancio dei prossimi anni, o perfino del prossimo decennio. Si consideri, per esempio, ciò che si legge nell'ultima proposta di budget dell'amministrazione Obama in relazione ai pagamenti degli interessi sul debito federale: secondo la sua proiezione entro dieci anni gli interessi arriveranno al 3,5% del prodotto interno lordo. Vi spaventa questo dato? Ebbene, è la medesima percentuale delle spese sugli interessi del primo mandato alla presidenza di Bush.

Perché allora tutta questa isteria? Per ragioni politiche. La differenza principale tra l'estate scorsa - quando avevamo dei deficit e in buona parte (e come è necessario) non battevamo ciglio - e l'attuale sensazione dilagante di panico è che diffondere cupe previsioni sul deficit è ormai un fattore cruciale della strategia politica repubblicana, che serve un duplice scopo: nuoce all'immagine del presidente Obama e al contempo danneggia la sua agenda politica. Se è pur vero che il livello di ipocrisia è sconvolgente - abbiamo rappresentanti politici che hanno votato a favore di tagli fiscali per compromettere il bilancio dello stato atteggiandosi ad apostoli della rettitudine fiscale, e a politici che un giorno fanno apparire riprovevole qualsiasi serio tentativo di contenere le spese di Medicare (parlando dei "pannelli della morte"!) e che il giorno dopo denunciano l'eccessiva spesa di governo - beh, che ci sarà mai di nuovo in tutto ciò?
  CONTINUA ...»

07 febbraio 2010
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