Dicembre 424 a.C., guerra del Peloponneso in pieno svolgimento. Dopo un anno favorevole alle sorti di Atene, l'abile generale spartano Brasida ha portato i suoi opliti in Tracia e sta attaccando Amfipoli, città fortificata e difesa da una guarnigione ateniese. Al comando della flotta ateniese stanziata a Eione, c'è il grande storico Tucidide. Dopo un iniziale vittorioso attacco degli spartani, lo stratego ateniese Eucle richiede subito soccorso a Tucidide attraverso segnali luminosi.
Tuttavia la flotta non è ad Eione ma a Taso, isola a mezza giornata di navigazione dalla costa. Le sette navi salpano immediatamente ma arrivano troppo tardi: Brasida ha infatti intelligentemente promesso salve la vita e le proprietà a tutti gli abitanti purché si arrendano. Detto fatto, tale è il timore delle armate spartane, che la città posa le armi senza combattere e Tucidide fa in tempo solo a salvare Eione dalla capitolazione. Ma la democrazia ateniese non è tenera coi suoi pubblici funzionari e così il Padre della Storia viene processato per "prodosia", tradimento. La giuria si fa convincere da Cleone, il leader dei popolari, e spedisce Tucidide in esilio.
Vi immaginate un odierno direttore generale di un ministero che, vista la sua incapacità di prevedere uno sfondamento dei tetti di spesa imposti dalla legge finanziaria, viene accusato di prodosia e fatto accomodare in esilio ad Apollonia nell'odierna Albania?
Il racconto che Michele Ainis ha fatto della sua Odissea nel fisco sul Sole 24 Ore di venerdì 5 febbraio dà lo spunto anche per ricordare che non può esserci potere senza responsabilità. Questo binomio viene invocato a gran voce oggi nei confronti di banchieri e manager che, grazie a un sistema d'incentivi perverso, avevano il potere di muovere grandi masse di denaro che non gli appartenevano, lucrare bonus immediati per i guadagni di breve termine e, nel caso di patatrac, rischiare in rari casi il posto di lavoro e, nella maggioranza delle situazioni, solo una riduzione dei compensi straordinari. Sotto un'angolatura diversa si parla di "azzardo morale", la situazione nella quale si rischia perché non si pagano le conseguenze: le banche che non possono fallire, per fare un esempio.
Ebbene, non è proprio nell'agire dei pubblici poteri che azzardo morale e dissociazione tra potere e responsabilità si verificano nel modo più eclatante? E per quanto si migliori la legge, come potrà essere bene applicata se chi l'amministra non paga abbastanza i propri errori?
Le polemiche sull'irresponsabilità dei magistrati, ad esempio, assumono toni esagerati, ma come negare che essi siano molto più protetti dai propri sbagli del normale cittadino? E i vari funzionari, siano essi del fisco, delle autorità indipendenti o di altri enti pubblici, che causano negligentemente danni alla società e agli individui continuando a sottoporli a procedure, inchieste, formalismi che si rivelano infondati o magari smentiti dai tribunali, rischiano forse il licenziamento? È vero che il ministro Brunetta ha previsto nella legge sulla pubblica amministrazione un'ipotesi di responsabilità dei dirigenti per omessa vigilanza sull'efficienza della struttura, ma questo vuol dire che prima non c'era niente!
Insomma, se non s'introduce una vera (seppur cauta, certamente) responsabilità personale di chi amministra la cosa pubblica, difficilmente essa verrà gestita con l'equanimità e l'efficienza cui abbiamo diritto.