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LA CRISI DELL'EURO / Ora la politica curi l'infezione

di Marco Onado

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7 maggio 2010

Le drammatiche giornate vissute sui mercati e nelle piazze in fiamme dimostrano, ancora una volta, che anche un paese molto piccolo può provocare una tempesta globale. La classe politica europea ha largamente sottovalutato questa semplice realtà (nonostante il campanello d'allarme del caso Dubai) e adesso è costretta a misure eccezionali e costose per rimediare a questo fatale errore. A questo punto, la diagnosi è relativamente facile, ma la terapia tanto complessa, quanto dura da accettare.

In questo momento c'è il rischio concreto che i meccanismi di contagio si diffondano dalla Grecia non solo agli altri paesi fortemente indebitati (come Portogallo e Spagna già nel mirino della speculazione) ma all'intero settore del debito dei paesi sovrani, perché - come dimostra una recente ricerca di Citigroup curata da un economista di valore come Willem Buiter - i paesi con i conti in ordine si contano sulla dita di una mano (mutilata, aggiungerei) e tra questi non c'è nessuno fra i grandi paesi, compresi Stati Uniti, Regno Unito e la stessa Germania.
Il che naturalmente non vuol dire che ci sia alle porte un problema d'insolvenza di questi paesi, ma spiega ampiamente perché i mercati siano nervosi nei confronti dell'intero universo dei titoli pubblici e siano pronti, come in effetti hanno già fatto, a chiedere un tasso d'interesse, cioè un premio al rischio, più alto rispetto al passato, aggravando così ulteriormente le finanze pubbliche.

A questo punto, i problemi del mercato dei titoli sovrani creano perdite potenziali nei bilanci delle banche, soprattutto europee: gli analisti stimano che anche le grandi banche francesi, tedesche e spagnole possono registrare minusvalenze significative per effetto dell'aumento degli spread, che cancellerebbero gran parte del miglioramento dei conti registrato dall'inizio del 2009. E si badi che solo nei confronti di Grecia e Portogallo, si stima che le banche francesi, tedesche e britanniche siano esposte rispettivamente per 56, 84 e 37 miliardi di dollari (ricerca Morgan Stanley). Anche questa volta, le banche italiane sono coinvolte solo in misura marginale, tanto che ieri Moody's ha riconosciuto che il nostro è un «sistema bancario robusto». Un ulteriore elemento in più a nostro favore, ma nella tempesta generale anche una consolazione abbastanza magra.

E purtroppo non ci si ferma lì, perché le banche più esposte hanno anche generalmente un basso rapporto depositi/prestiti e quindi devono finanziare sul mercato interbancario una gran parte delle operazioni di prestito. Il problema riguarda quindi un insieme assai più vasto delle piccole banche greche o anche delle banche europee che detengono titoli greci. Se lo spettro del rischio di controparte ricominciasse ad aggirarsi per l'Europa, sarebbero dolori per tutti. Non a caso, quando a partire dall'agosto 2007 le banche smisero di farsi prestiti fra loro, le prime a cadere furono una banca inglese (Northern Rock) e una banca tedesca (Hypo Real Estate).
A fronte di uno scenario così preoccupante, è difficile credere che il piano faticosamente e tardivamente varato nello scorso fine settimana possa essere sufficiente, ammesso ovviamente che i cittadini greci lo accettino. Una qualche forma di ristrutturazione del debito appare inevitabile ed è del resto già implicita sia nelle valutazioni delle agenzie di rating che nei prezzi di mercato. Avere atteso colpevolmente fino all'ultimo porta al risultato, apparentemente paradossale, che un pacchetto d'interventi che in linea di principio consente alla Grecia di non ricorrere al mercato per tre anni, non è più abbastanza credibile.

Occorre quindi aggiungere un elemento in più e cioè riportare il servizio del debito su livelli più sostenibili nel medio periodo. Piuttosto, dati i problemi delle banche europee, bisognerà puntare non sul taglio brutale del valore di rimborso, ma su forme di dilazione delle scadenze che assicurino il pagamento del debito al valore nominale, ancorché in tempi più lontani. In questo modo, l'impatto sui bilanci delle banche potrebbe essere attenuato e si eviterebbero ulteriori salassi a carico dei bilanci statali per ulteriori iniezioni di capitale nelle banche, che sarebbero ancora più difficili da spiegare ai contribuenti di quelle già realizzate.

Purtroppo l'emergenza non si ferma qui, perché occorre anche diradare le nubi che si stanno accumulando sul mercato interbancario internazionale. La Bce ha dato un contributo fondamentale con la decisione di lunedì di continuare ad accettare in garanzia i titoli greci, nonostante il declassamento. Una decisione tanto coraggiosa, quanto indispensabile per garantire la liquidità delle banche di Eurolandia. È probabile che si debbano in un futuro non lontano riaprire i rubinetti delle facilitazioni a lungo termine introdotte nei momenti peggiori della crisi. L'istituzione di Francoforte dimostra di aver superato le remore che l'avevano portata a respingere l'intervento dell'Fmi ed è consapevole che è in gioco l'intera costruzione europea.
Il problema è che se la politica europea non dimostrerà la stessa determinazione e non saprà fare il salto in avanti necessario, l'azione della Banca centrale non sarà sufficiente. È ormai dimostrato che una moneta unica e una politica divisa e frammentata funzionano solo quando le cose vanno bene per tutti. E capirai, diceva Alberto Sordi.

7 maggio 2010
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