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RATING BANCARI E BORSE / Se il contagio è l'«ammuina» di Moody's

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7 maggio 2010

Tre settimane dopo il crack di Lehman Brothers, il premier Silvio Berlusconi, il ministro Giulio Tremonti e il governatore Mario Draghi dovettero correre assieme in tv per rassicurare gli italiani: «Le nostre banche non falliranno, nessuno ci rimetterà un euro, lo stato garantirà i risparmi». Il giorno prima Moody's aveva tagliato il rating di UniCredit, nonostante il gruppo italiano avesse già annunciato una ricapitalizzazione da 6,6 miliardi di euro sul mercato. Un'operazione poi condotta in porto con successo mentre i governi di mezzo mondo sborsavano decine di miliardi per puntellare i loro colossi bancari crollati. Ma fin dal fatale 15 settembre 2008 il contagio reciproco tra panic selling, speculazione e "ammuine" delle agenzie di rating aveva preso di mira Piazza Cordusio (che giunse a perdere al listino fino al 70% del valore di due anni prima), Intesa Sanpaolo e le altre chip creditizie di Piazza Affari. Eppure le banche italiane (certo non immuni dai titoli tossici) non stavano per fallire. Ma uno dei molti paradossi dell'apocalisse finanziaria ha spinto i mercati - di cui le agenzie di rating sono rimaste mosche cocchiere - a valutare meglio i titoli bancari artificialmente rinsanguati dagli stati, piuttosto che quelli che hanno resistito da soli.

Tanto è stato, tant'è. E Moody's - così solerte in tempo reale con UniCredit - era lo stesso "vigilante privato" che poco prima aveva continuato ad attribuire un brillante A2 a Lehman appena cinque giorni prima di una bancarotta da 763 miliardi di dollari. Da allora sono passati quasi venti mesi e il copione (almeno in Italia) non è cambiato: l'allarme sui rating, gestori e broker lesti a gettarsi sulla sexy story di una giornata vissuta pericolosamente, il governo in agitazione, la Banca d'Italia costretta ad attingere a tutta la sua autorevolezza. Le banche stesse obbligate al gioco dei sette veli sulle loro reali esposizioni al nuovo fronte di rischio. I danni collaterali, al solito, sono in agguato per risparmiatori, imprese, ripresa. Unica novità (non da poco): Berlusconi, Tremonti e Draghi sembravano ieri più spazientiti che preoccupati. Non diversamente da Barack Obama alle prese con la grande riforma bancaria americana o Angela Merkel e Jean-Claude Trichet al capezzale della Grecia e dell'eurozona. Non diversamente dai senatori statunitensi che hanno messo sulla più simbolica delle griglie pubbliche l'ultra-simbolica Goldman Sachs, «madre» di tutte le più disparate agenzie di Wall Street.

7 maggio 2010
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