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LA MANO VISIBILE / L'insostenibile loquacità del magistrato

di Alessandro De Nicola

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7 marzo 2010

Da qualche tempo circola una battuta attribuita a Massimo D'Alema (che non ha bisogno di smentirla: è spiritosa): «Il problema del Pd, diciamo, è che i magistrati hanno ragione quando parlano di Berlusconi e Berlusconi ha ragione quando parla dei magistrati». Come tutti i paradossi, la frase è esagerata ma rappresenta tuttavia una parte di verità e cioè che i due soggetti istituzionali, il premier e la magistratura, parlano troppo.
Naturalmente il diritto di manifestare le proprie opinioni è sacrosanto, ma quelle istituzioni (e i loro rappresentanti) che nell'ordinamento hanno un ruolo di terzietà e garanzia dovrebbero esprimersi su grandi temi che li riguardano, portando il contributo della loro scienza ed esperienza, non su tutto lo scibile e per di più prendendo dichiaratamente parte.

Ad esempio, non c'è niente di male se circa il progetto di legge sul processo breve l'Anm, il sindacato unico dei giudici) o il Csm, l'organo costituzionale di governo e disciplinare dei magistrati, esprimono pareri motivati e circostanziati sulle conseguenze del provvedimento. Se hanno a disposizione statistiche e proiezioni verificate in modo scientifico su quanti procedimenti in corso cadranno in prescrizione a seguito dell'approvazione del testo, presentino il dossier alla classe politica e all'opinione pubblica affinché ne traggano le conseguenze. Anche osservazioni tecniche, tipo le difficoltà d'interpretazione della norma nonché i rischi d'incostituzionalità, sono molto utili. Incidentalmente, il parere del Csm sul processo breve di qualche mese fa contiene alcuni di questi dati e suggerimenti, sebbene a volte le statistiche sembrino un po' abborracciate (del tipo «3-4 mesi per una certa fase»).

In altri casi, invece, la tendenza declaratoria da parte di Anm, Csm e singoli magistrati rischia d'inficiarne la credibilità. Questa settimana, ad esempio, forti critiche sono state lanciate al ddl sul processo del lavoro che addirittura, secondo l'organo esecutivo dell'Associazione, mortificherebbe il ruolo del giudice perché pone paletti alla sua libera interpretazione e intaccherebbe i diritti (diritti insindacabilmente decisi dal sindacato dei magistrati, evidentemente) dei lavoratori: magari ha ragione, ma non si tratta di una valutazione politica che dovrebbe far preoccupare qualsiasi datore di lavoro che si trovi a giudizio davanti a un membro dell'Anm?

E quanta abitudine abbiamo fatto alle immancabili giaculatorie sulla mancanza di mezzi (in percentuale del Pil non inferiori invece a quelli di molti altri paesi), sul grave vulnus al prestigio della magistratura per ogni critica all'operato anche di singoli giudici, sebbene le cronache siano piene di magistrati inquisiti o sanzionati disciplinarmente o le cui inchieste, fin dall'inizio dubbie, siano finite nel nulla?
Nel libro di Stefano Livadiotti sull'ultracasta, fra centinaia di dati sconfortanti sul funzionamento della magistratura in Italia ce n'è uno che mi aveva particolarmente incuriosito: nel 2008 Anm e Csm avevano "conquistato" 1.265 titoli sul notiziario dell'agenzia Ansa!
Certo, risponderà la magistratura, siamo continuamente sotto attacco e dobbiamo difenderci: bene, se tanto zelo verrà applicato anche nell'autocritica e nella produzione di statistiche affidabili e più moderazione nell'esprimere giudizi politici, è probabile che essa troverà ascoltatori più ben disposti.

7 marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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