Roberto Perotti ha presentato sul Sole-24 Ore del 28 febbraio un'immagine caricaturale degli economisti "keynesiani tradizionali", alieni a qualunque procedura scientifica, teorica ed empirica, rigorosa, interessati solo a un'inutile esegesi di testi sacri. Mi preme qui respingere tale accusa soprattutto dal punto di vista della tradizione sraffiana (o neoricardiana, come la definisce Perotti).
Perotti concorderà che rigore e rilevanza della ricerca economica non si possano misurare a chili di matematica. La ricerca teorica sraffiana passerebbe comunque brillantemente l'esame di matematica. Sraffa e la sua tradizione hanno fatto del rigore teorico il proprio tratto distintivo. Il rigore logico di Piero Sraffa è leggendario, sebbene per scelta consapevole abbia lasciato ad altri il compito di tradurre con metodi matematici più avanzati quanto lui dimostrò sul filo di un ragionamento strettamente economico, il quale a suo avviso doveva sempre prevalere.
Com'è noto, il famoso volumetto di Sraffa, della cui pubblicazione ricorre quest'anno il cinquantenario, diede esca a quella che è forse stata una delle più furiose controversie nell'analisi economica, la controversia sulla teoria del capitale o fra le "due Cambridge". La Cambridge americana era capeggiata dallo scomparso Paul Samuelson, quella inglese da Piero Garegnani e Luigi Pasinetti. Ebbene, Samuelson ha continuato fino all'ultimo a discutere con Garegnani. Ma alla concezione della scienza economica di Perotti non è legato il rispetto per i maestri, né Sraffa né Samuelson per par condicio.
Non v'è dubbio, infatti, che gli economisti "keynesiani tradizionali", in particolare quelli che si rifanno all'impostazione di Ricardo, assegnino grande importanza allo studio della storia del pensiero. Per contro, nella visione di Perotti, nella scienza economica - similarmente alla hard science - conta ciò che è "sulla frontiera". Ora non v'è dubbio che la scienza economica debba procedere e acquisire nuove conoscenze teoriche ed empiriche. È però tipico della scienza economica che ciò che i suoi cultori sono portati a sostenere è influenzato dalle circostanze storico-politiche. E più che le hard sciences, le scienze economiche soffrono della difficoltà di trovare criteri unanimemente condivisi per discriminare la bontà dei risultati teorici ed empirici.
È così difficile credere che l'economia proceda per processo cumulativo. Spesso può valere la pena fare un passo indietro nella storia del pensiero, non per oziosa esegesi dei testi, ma per poterne fare due in avanti.
Roberto Perotti è infine ingiusto nel descrivere i "keynesiani tradizionali" come estranei al confronto coi dati empirici. C'è certamente scetticismo da parte dei keynesiani tradizionali per le tecniche statistico-econometriche in genere utilizzate nella letteratura convenzionale, questo a favore di una lettura del materiale empirico talvolta più semplice, ma arricchita da elementi storico-istituzionali che danno prospettiva ai dati statistici.
Perotti converrà che spesso la letteratura intelligente di una tabella racconta più di una messe di dati elaborati con esoterici pacchetti statistici. Condivido le preoccupazioni di Perotti sullo standard della ricerca economica italiana. Proprio la distintiva qualità della tradizione classico-keynesiana nel nostro paese può consentire la convivenza di scuole che, sebbene differenti, convergono nell'idea della difesa del rigore scientifico e della tolleranza.
Sergio Cesaratto è professore ordinario di Politica economica all'Università di Siena