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AFGHANISTAN / Meno truppe ma concentrate

di Charles Kupchan e Steven Simon

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7 NOVEMBRE 2009

Anche se l'abortito ballottaggio elettorale in Afghanistan ha indebolito ancora di più il già problematico governo del paese, l'amministrazione Obama non ha scelta: dovrà collaborare con il presidente Hamid Karzai. Anzi, da un certo punto di vista il pasticcio elettorale rende più facile per il presidente Obama decidere come l'America debba procedere in questa guerra. Il caos a Kabul dovrebbe convincere la Casa Bianca che il piano del generale Stanley McChrystal per proseguire la repressione dell'insurrezione nelle regioni rurali è oltre ogni limite di fattibilità.
Il comandante americano in Afghanistan vorrebbe che le forze della coalizione adottassero una strategia «incentrata sulla popolazione», per mezzo della quale risolvere «le necessità e le rimostranze della popolazione nel loro stesso ambiente». In Iraq una strategia di questo tipo si è rivelata efficace nello spezzare l'insurrezione sunnita dal basso. Ma il governo centrale iracheno era nel bel mezzo di un'opera di stabilizzazione e di miglioramento della sua efficacia, il che ha consentito di ricostruire le infrastrutture istituzionali di uno stato efficiente. In Afghanistan, invece, dove il governo ha una legittimità discutibile e limitata nel tenere sotto controllo appena il 30% del paese - mentre tutto il resto del territorio afgano resta sottomesso al predominio dei signori della guerra -, inviare rinforzi di migliaia di soldati "freschi"in aree rurali che vivono al di fuori della legalità, sarebbe una ricetta di sicuro successo.
Al contrario, Obama dovrebbe tassativamente ridurre la missione in Afghanistan, concentrando le operazioni della coalizione sul consolidamento del controllo di zone specifiche e strategicamente importanti, come pure di aree più stabili del centro e del nord del paese. Da queste zone sicure e difendibili, la coalizione potrebbe quindi concentrarsi su tre compiti principali.
Primo: potrebbe migliorare le infrastrutture politiche ed economiche dell'Afghanistan superstite, allo scopo di dar vita alle solide istituzioni e ai mercati di cui necessita uno stato efficiente. Questo sforzo è una priorità di importanza cruciale: senza un governo afgano vitale, perfino gli sforzi di maggior successo contro l'insurrezione sarebbero poco più di un costoso palliativo. Secondo: la coalizione potrebbe condurre operazioni di antiterrorismo in tutte quelle aree dell'Afghanistan e del Pakistan nelle quali le forze della coalizione non sono di regola dispiegate, cogliendo l'opportunità di colpire i taleban militanti e obiettivi di al Qaeda. Terzo: potrebbe incrementare considerevolmente l'addestramento dell'esercito e della polizia afgani, dando vita a un contingente indigeno che alla fine dovrà intraprendere quella missione di contro-insurrezione a largo raggio in tutto il paese che ora come ora il generale McChrystal immagina possano condurre le forze della coalizione, col vantaggio però di poterlo fare senza le violente reazioni nazionaliste che i soldati stranieri inevitabilmente si attirano.
Questa strategia a tre punte presenta vantaggi rispetto alle alternative più ambiziose, ma anche più impegnative. Invece di mettere troppa carne al fuoco, la coalizione potrebbe concentrare i propri sforzi là dove sono maggiormente necessari: nella creazione di uno stato afgano competente e legittimo che riesca ad assumersi gradualmente responsabilità per la governance e la sicurezza in tutto il paese. Potrebbe anche circoscrivere la portata dell'impegno statunitense ed europeo senza rischiare che i taleban riprendano possesso dell'Afghanistan, uno svantaggio non indifferente legato a un rapido ritiro delle truppe o a un'esclusiva concentrazione sulle operazioni di antiterrorismo.
Al tempo stesso, gli Stati Uniti manterrebbero l'accesso alle basi che servono a condurre operazioni di antiterrorismo e raccogliere intelligence sia in Afghanistan sia in Pakistan. A quel punto sarebbero le forze della coalizione e non i taleban ad adottare le tattiche "mordi e fuggi", colpendo le cellule militanti che avrebbero maggiori probabilità di cercare di ricostituirsi in aree dalle quali le forze della coalizione si sono ritirate. Prendendo l'iniziativa sul campo di battaglia, i soldati americani e della Nato terrebbero sulla difensiva i taleban e al Qaeda, vanificando la loro possibilità di costruire campi di addestramento e basi operative del tipo di quelli esistenti nel territorio prima dell'invasione degli Stati Uniti nel 2001.
Questa riorganizzazione della strategia porterebbe anche indubbi benefici in Pakistan: le operazioni della coalizione in Afghanistan hanno spinto in quel Paese i combattenti più pericolosi e determinati dell'intera regione, contribuendo ad acuire la violenza dei guerriglieri e destabilizzando un paese che possiede armi nucleari. Questi militanti sono oltretutto in buona parte fuori dalla portata delle forze della coalizione. Islamabad non permette a contingenti stranieri di operare in Pakistan, e gli Stati Uniti possono fare affidamento unicamente su missili lanciati da droni che sorvolano zone di frontiera.
Qualora le forze della coalizione si ridispiegassero nelle regioni centrali dell'Afghanistan, alcuni dei militanti rifugiatisi in Pakistan probabilmente farebbero ritorno, se non altro per sottrarsi all'offensiva in corso lanciata dal Pakistan nel Waziristan. Se lo facessero, la minaccia per il Pakistan si ridurrebbe e le forze della coalizione potrebbero dare la caccia ai militanti in Afghanistan senza le restrizioni alle quali sono soggetti al momento in Pakistan.
  CONTINUA ...»

7 NOVEMBRE 2009
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