Non c'è solo la memoria collettiva nel ricordo dei caduti italiani delle missioni di pace. Disagio, paura e solitudine sono piuttosto le emozioni individuali che raccontano i progetti di Mario Botta, Mario Bellini e Alessandro Anselmi, architetti della generazione dei 60-70enni che hanno vissuto più da vicino la guerra anche nell'esperienza familiare e personale. I tre "grandi vecchi" dell'architettura hanno partecipato all'iniziativa promossa dal Sole 24 Ore per la costruzione di un memoriale.
Botta parte dal disagio. La sua piazza è una meridiana da erigere in un parco urbano. Un piano inclinato dove chi cammina proverà un senso di disagio muovendosi in posizioni diverse, salendo, scendendo o seguendo le diagonali. «Chi cammina in questo spazio - dice Botta - farà fatica, sentirà che non è legato alla gravità, non potrà seguire direzioni prestabilite: ciascuno va per la propria strada ed è forte il sentimento di isolamento e solitudine». Si produce in questo modo una tensione morale che attrae. «Ciascuno la vive singolarmente, in modo unico, nel proprio animo, penso sia più forte l'esperienza individuale di una preghiera collettiva».
L'architetto svizzero, classe 1943, che in Italia ha realizzato la ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano, pensa a «uno spazio pubblico, una piastra minerale immersa nel verde, che vive in funzione del ciclo solare». Quella di Botta è anche un piazza del non-incontro. «Per rappresentare lo stato di solitudine in cui questa contemplazione ci proietta ho in mente la piazza Sartre di Giacometti, scultura dove i personaggi passeggiano, ma non si incontrano mai. Questa contemplazione non è mai vinta o passiva».

Bellini, architetto milanese classe 1935, che tra i suoi lavori in corso conta anche il cantiere parigino per il nuovo dipartimento dell'arte islamica all'interno della Court Visconti al Louvre, immagina un percorso dalla memoria alla meditazione. Né Botta né Bellini pensano a un monumento ma preferiscono parlare di spazi. Bellini propone un luogo silenzioso, fuori dal contesto urbano, dove si potrà compiere un percorso nelle memorie quasi attratti da una forza centripeta, senza distrazioni, verso lo specchio d'acqua che riflette il cielo e sta nel centro di questo spazio. «Dopo aver girato ripetutamente lungo il camminamento circolare, ci si troverà davanti a un percorso lineare, lungo la diagonale del cerchio, a gradoni, che conduce, seguendo una liberatoria forza centrifuga, in una sorta di boccascena». Uno squarcio sul paesaggio naturale, un invito alla meditazione. «Un luogo pubblico – spiega l'architetto – che ciascuno singolarmente percepirà come attenzione per il dolore, il ricordo, il sacrificio compiuto anche dalle persone che sono rimaste».

Botta e Bellini ripropongono un'architettura che si confronta con l'emozione dell'individuo. Sensazioni da vivere in uno spazio dove sostare o camminare, in luoghi silenziosi quasi appartati. Come loro, anche Anselmi, professore romano, classe 1934, suggerisce il luogo dove costruire il memoriale, tutti pensano alla natura: Botta a un parco urbano, Bellini vede il suo memoriale su un'altura sul mare o davanti a una vallata, ancora Anselmi ha pensato come possibile localizzazione la spiaggia di Castel Porziano nella residenza del presidente della Repubblica.
Il progetto presentato dallo studio di Anselmi combina arte e architettura e si concentra sul tema della paura che prova il soldato in tempo di guerra, perché comunque di guerra si tratta. «L'incubo della paura», e cita Ungaretti che scriveva dalle trincee del fronte francese del luglio 1918 «si sta come d'autunno sugli alberi le foglie». Con ironia, attraverso l'arte, denuncia «quanto è ignobile la guerra, vista da chi la fa e la subisce, e propone di realizzare un muro di mosaico d'oro che si disegna in modo labirintico, un muro prezioso – spiega -, una spirale al centro della quale in un luogo assolutamente vuoto, giganteggia il simbolo per eccellenza della verità della guerra, la morte. Tutto passa attraverso l'arte moderna – aggiunge - per questo immagino un teschio sublimato nell'acciaio inox scintillante». Una soluzione «impossibile» che rimanda all'immagine del teschio coperto di brillanti di Damien Hirst. «La parola dramma – spiega l'architetto – ha una sua nobiltà. La nostra idea esprime altro, parla della durezza della morte. Capisco che è così quando mi ricordo che i miei zii e cugini che hanno partecipato alla prima e alla seconda guerra mondiale mi hanno sempre parlato della vita militare, degli scherzi, tralasciando in modo assoluto la tragedia della morte, la crudeltà del conflitto».

Se Anselmi vede il suo progetto realizzato con materiali preziosi, di fronte al mare, affondato tra le dune della spiaggia di Castel Porziano, Bellini lo immagina su un'altura come uno spazio elementare, monomaterico, realizzato con materiali poveri e semplici, muri minimali senza finiture, senza colori che distraggono. «Il nostro peggior nemico rimane la retorica – aggiunge Bellini -. Solo parlandone ne sento il peso. L'alternativa è il silenzio, non fare niente. Ma in un luogo come questo diverse persone possono incontrarsi e sentirsi unite dalla comune ferita: per raggiungere una dimensione di civile condivisione. Penso che per lavorare sul tema del memoriale si debba proporre un segno leggero, anti-retorico, anti-decorativo, non verboso». Sulla stessa linea è Botta. «L'immagine della meridiana, con l'asta verticale che attraverso la sua ombra ripropone il ciclo solare delle 24 ore, richiama al ritmo della vita. La memoria è del singolo ma non si è mai soli».