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Perché UniCredit punta tutto su una sola banca

di Fabio Tamburini

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7 novembre 2009

C'era un tempo in cui nelle banche italiane l'intero modello organizzativo era costruito intorno al cosiddetto settorista, incaricato dei finanziamenti alle aziende, e al capo delle filiali. Erano loro che sul territorio avevano in mano, tra l'altro, il bene più prezioso: il rapporto con piccoli e medi imprenditori. Conoscevano perfettamente gli interlocutori, li seguivano passo dopo passo, avevano buona visibilità anche sulle scelte d'investimento personali oltre a quelle aziendali. Poi ha cominciato a suonare un'altra musica. A livello internazionale hanno fatto scuola scelte organizzative molto diverse, che puntavano sempre di più sulla specializzazione dei diversi mestieri del fare banca e che avevano nei consulenti della McKinsey i massimi teorizzatori. In Italia ha fatto da apripista UniCredit che, nella primavera 2003, ha deciso una riorganizzazione radicale con la nascita di tre banche specializzate nel retail, nella finanza d'impresa e nella gestione del risparmio.
Il parto, per la verità, è stato piuttosto travagliato. Ma in quel momento l'opinione più diffusa era che UniCredit con il lancio di S3, così venne chiamato il nuovo modello organizzativo, stava tracciando la strada destinata ad essere seguita dalle principali banche. Sei anni dopo, pochi giorni fa, è arrivato il contrordine: la fine delle tre banche specializzate e la nascita di una super banca unica. Certo la grande crisi economica ha contribuito al fallimento di S3, ma il suo destino era già segnato. Il limite fondamentale è stato il disorientamento della clientela, che ha visto moltiplicarsi gli interlocutori. Poi, le tre banche si sono rivelate una struttura complessa che ha allungato i tempi d'intervento e di risposta alle richieste del mercato. In terzo luogo ha finito per risultare molto più difficile la gestione coordinata dei vari servizi.

Il tutto ha aggravato problemi che non sono soltanto di UniCredit ma di tutte la maggiori banche italiane. Negli ultimi 15 anni il sistema bancario è completamente cambiato grazie ad una serie straordinaria di aggregazioni che hanno aumentato in misura significativa le dimensioni dei gruppi principali. Nel complesso il risultato è stato senz'altro positivo, perché ha permesso la nascita di realtà con dimensioni analoghe a quelle dei concorrenti a livello europeo. I protagonisti delle fusioni hanno però pagato un prezzo non indifferente: la perdita di radicamento sul territorio, a vantaggio delle banche locali come quelle di credito cooperativo e come le popolari, che hanno mantenuto una organizzazione tradizionale basata sul rapporto diretto e quotidiano con il mondo dell'impresa.

Ora UniCredit ha voltato pagina. E la nuova trasformazione è stata senz'altro apprezzata, ma anche sollecitata, dalla stessa Banca d'Italia. Questo non significa che il gruppo guidato da Alessandro Profumo rinuncia alla specializzazione delle varie attività. Anzi, continueranno ad essere l'elemento caratterizzante. Un passaggio fondamentale riguarda la nuova catena di comando. Sulla carta non cambia nulla. Profumo ne resta il capofila, così come restano le competenze attuali. È umano però che il concetto di banca unica possa trascinare con sé qualche ambizione di chi aspira a diventarne il principale collaboratore. In proposito va sottolineato che la casella della direzione generale non è prevista, mentre tre vice sono confermati come gli interlocutori naturali dell'amministratore delegato. Si tratta, in rigoroso ordine alfabetico, di Sergio Ermotti, Paolo Fiorentino e Roberto Nicastro.
fabio.tamburini@ilsole24ore.com

7 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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