La convocazione dei petrolieri da parte del governo è ormai diventata uno dei riti principali delle estati italiane. Il copione si ripete puntuale da anni: i listini salgono, le associazioni dei consumatori insorgono, l'esecutivo interviene e tenta di convincere con le buone gli industriali a ridurre i prezzi. Quasi sempre, e il nulla di fatto di giovedì lo conferma, il confronto non porta alcun esito. E questo anche perché si discute senza basi certe. Si mettono a confronto cifre diverse, margini non verificabili, quotazioni non omogenee. Il mercato, del resto, mal digerisce decisioni amministrative, e dimostrare che un aumento è ingiustificato diventa sempre operazione arbitraria. Se però il governo, com'è accaduto nei giorni scorsi, è convinto che esistano margini di riduzione di due centesimi, la strada più breve è quella di mettere mano alla parte fiscale, che rappresenta quasi due terzi del prezzo finale. Due centesimi si trovano facilmente, eliminando ad esempio le accise su Vajont, Belice, crisi di Suez e guerra d'Abissinia. Un risparmio per tutti noi, un passo avanti sui libri di storia.