La moratoria di dodici mesi sul credito non è una forma di assistenzialismo mascherato. Ritengo sia una scelta saggia e lungimirante da parte delle aziende di credito, nel loro stesso interesse.
Questa non è una crisi come le altre. Quella del 1993-94, per fare l'esempio dell'ultima che ha colpito pesantemente il nostro sistema produttivo, e prodotto danni gravi ai bilanci bancari, era una crisi tutta nazionale, e di competitività.
La crisi, prodotta dalla manovra dei 92mila miliardi, venne dalla domanda interna, e il sostegno alle imprese venne dalla svalutazione, i cui effetti inflazionistici furono bloccati dalla riforma della scala mobile. Ma prima d'allora, le imprese denunciavano la loro incapacità di sostenere il cambio stabile della lira, perdevano profitti e quote di mercato. Senza la svalutazione, la selezione fra le imprese sarebbe stata, e giustamente, più dura e brutale, ma una selezione era inevitabile e le banche non potevano evitarla.
In realtà, allora le banche erano a metà strada dei loro processi di privatizzazione. Al Credito Italiano la discussione, in quei mesi, fu almeno per me molto formativa. C'era chi riteneva giusto sostenere comunque le imprese in crisi, invocando ruoli sociali che collidevano con la riconquistata dignità di banca come impresa, e chi riteneva invece che il sostegno a imprese immeritevoli avrebbe finito per danneggiare le migliori. Personalmente, ero di quel parere, e non ho mai cambiato davvero idea.
Ma oggi non è in discussione, mi pare, il ritorno a quel vecchio paradigma pre-liberale, che si riteneva allora superato: nessuno, come penitenza di fronte ai peccati della finanza di questi anni, credo voglia tornare a un'idea di banca che sostiene e non seleziona. La banca seleziona, non sostiene: o meglio - è il suo ruolo - sostiene chi merita di essere sostenuto (che è, si badi, la lezione della crisi, che è stata da eccesso, e non difetto, di credito).
Si tratta di prendere atto con realismo di una diversa realtà e della posta in gioco. La sfida non è fra un sistema d'imprese italiano fragile come quindici anni fa e una concorrenza più forte e attrezzata. Le imprese industriali italiane sono arrivate alla crisi con conti economici in ordine, e con uno stato patrimoniale migliore di prima.
Le imprese di quindici anni fa erano più deboli - bisognose di svalutazione - sul piano competitivo e più deboli sul piano finanziario, con un eccesso di debito sul capitale e di debito a breve su quello a lungo. Oggi, di fronte alla crisi, ci sono imprese che hanno quote di mercato stabili o in aumento: se invece del tradizionale conto delle quote delle nostre esportazioni si fa il rapporto con le esportazioni dei nostri concorrenti diretti, la quota italiana risulta in aumento dal 6,8% del 2000 al 7,7% del 2008. E hanno una leva finanziaria in via di riduzione - controtendenza rispetto al resto del mondo - dal 57,5% del 1993 al 48,1 del 2006 (ultimo dato della Banca d'Italia) e debiti a breve sul totale scesi dal 66,3% del 2000 al 56,8% del 2006.
La crisi non va nascosta, ovviamente, ma le imprese italiane ci sono arrivate in buona salute. È pensabile che non soffrano più di altre, in altri paesi, e che non perdano il passo di fronte a concorrenti che come da noi stanno scontando un massiccio rinvio di piani d'investimento per la crescita e il rinnovamento delle gamme di prodotto.
Per tutto questo, se quindici anni fa era probabilmente giusto un atteggiamento severo da parte delle banche, oggi è razionale tutto ciò che consente alla media delle nostre imprese, con le sue punte alte e basse, di resistere sulle posizioni pre-crisi, di rimanere in piedi senza ridursi di dimensione, senza chiudere, senza licenziare, contando che negli altri paesi le cose non vadano meglio, e che - a crisi passata - i punti di forza conquistati, in termini di prodotti e mercati, prima della crisi restino tali.
E quindi bene, per tutti, la moratoria: che consentirà alle banche alla fine di registrare meno default, e di favorire una più pronta ripresa di una buona domanda di credito. Speriamo al più presto.
Pietro Modiano è presidente di Carlo Tassara