Che cosa succederebbe se la Cina cessasse di "manipolare" il cambio dello yuan? Questo si apprezzerebbe, rispondono coloro che sono convinti che la moneta cinese sia tenuta ai livelli attuali da sapienti interventi delle autorità sui mercati dei cambi. È generale il coro di coloro che auspicano una rivalutazione dello yuan: tale apprezzamento sarebbe meglio per tutti, dai partner commerciali della Cina alla Cina stessa. Un gioco, insomma, in cui tutti vincono. E quindi la raccomandazione è univoca: cari cinesi, per favore, rivalutate la vostra moneta.
L'auspicio, allora, è che gli interventi sul mercato dei cambi cambino di segno: manipolate sì, ma manipolate per far apprezzare lo yuan. C'è qualcosa che non va in queste corali esortazioni?
Sì, ci sono almeno tre cose che non vanno. Primo, quel che si chiede non è la flessibilità del cambio, cioè un cambio affidato, come è normale nei mercati occidentali delle valute, ai meccanismi della domanda e dell'offerta. Quel che si auspica è la sostituzione di un dirigismo valutario con un altro, anche se di segno opposto. Ma, potrebbero obiettare quanti vogliono uno yuan più forte, non c'è bisogno di fare interventi dirigistici. Basta non fare nessun intervento, lasciar operare il mercato e lo yuan, come il tappo di una bottiglia di champagne, schizzerà verso l'alto.
Perché? Perbacco, perché la Cina ha un forte e strutturale avanzo nei conti con l'estero: esporta più di quanto importa, e centinaia di miliardi di dollari si accumulano, mese dopo mese e anno dopo anno, nelle riserve della Banca centrale cinese. Se questa non fosse sempre pronta ad assorbire dollari ma li lasciasse sul mercato, l'eccesso d'offerta di valute estere deprimerebbe il loro cambio contro yuan: quest'ultimo si apprezzerebbe e quindi, come si conviene a un paese con forti surplus con l'estero, la moneta cinese volerebbe verso l'alto.
O no? Qui veniamo al secondo punto. L'equazione "surplus corrente=moneta forte" non è affatto confermata dai fatti. Il grafico mostra l'andamento del cambio effettivo reale in Cina e nei cinque paesi Ocse con avanzo continuo e strutturale nei conti con l'estero: Danimarca, Giappone, Norvegia, Svezia e Svizzera. Come si vede, in quei cinque paesi non si nota alcuna pronunciata tendenza al rialzo per il cambio reale; addirittura, per il Giappone (per stazza dell'economia e del surplus è il caso più vicino alla Cina), la Svezia e la Svizzera il cambio reale si è deprezzato e non apprezzato dal '94 a oggi. L'unico paese in cui il cambio si è fortemente apprezzato è... la Cina.
E qui veniamo al terzo punto. Cioè a dire, quanti affermano che la Cina dovrebbe lasciar apprezzare il cambio sfondano una porta aperta: lo ha già fatto, sol che si guardi a un periodo di tempo abbastanza lungo per far emergere le tendenze di fondo e che non ci si fissi sul cambio nominale bilaterale fra yuan e dollaro: bisogna guardare a una misura del cambio più comprensiva, che tenga conto di tutte le monete e dei differenziali d'inflazione.
La domanda interessante, in ogni caso, è un'altra. Perché anche in paesi dai conti con l'estero in ottima e persistente salute la valuta non si apprezza? La risposta è semplice: la domanda e l'offerta di valute sul mercato dei cambi non riguardano solo le transazioni di parte corrente (beni, servizi, trasferimenti, dividendi, interessi...) ma anche quelle relative ai movimenti di capitali. In Giappone, per esempio, lo yen si è deprezzato di quasi un quarto (in termini di cambio effettivo reale) negli ultimi tre lustri, perché l'immenso e continuo avanzo corrente è stato più che neutralizzato da fuoriuscite di capitali legate agli investimenti dei giapponesi (sia imprese che famiglie) all'estero.
In Cina l'enorme risparmio dei cinesi è recintato da ostacoli ai movimenti dei capitali ed è costretto a scegliere le limitate possibilità d'investimento offerte da un mercato finanziario ancora sottosviluppato. Se le autorità cinesi liberalizzassero i movimenti di capitale, non è affatto detto che lo yuan schizzerebbe verso l'alto. Certo, sarebbero facilitati gli ingressi di capitali, ma questi in buona misura già esistono, sia per investimenti diretti che per i tanti fondi d'investimento occidentali. Invece, dalla parte delle uscite di capitali, e se non altro per ovvie ragioni di diversificazione dei portafogli, un'enorme quantità di fondi defluirebbe dalla Cina, e lo yuan potrebbe addirittura deprezzarsi.
In conclusione, bisogna stare attenti a quello che si chiede ai cinesi. Accontentiamoci del fatto che la tendenza di fondo del cambio, grazie alle "illiberali" restrizioni ai movimenti di capitale, è già al rialzo, e ringraziamo piuttosto la Cina per aver fortemente stimolato la domanda interna e fortemente ridotto il suo surplus corrente, dando così un sostanzioso contributo all'attività nel resto del mondo.
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