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Ripartire dallo statuto dei lavori

di Francesco Daveri

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8 aprile 2010

Come hanno scritto Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti, nell'economia italiana «denaro, sforzi, lavoro stentano ad andare verso le attività e gli investimenti più produttivi». Per questo ci vorrebbero «tanti piccoli interventi guidati da una strategia comune, quella di facilitare l'allocazione delle risorse pubbliche e private verso chi sa farne un uso migliore». In poche parole, vuol dire ricominciare a parlare di concorrenza e di liberalizzazioni, cioè di quelle parole vietate durante la crisi.
È nel mercato del lavoro l'ambito nel quale il principio "dare di più a chi merita" potrebbe trovare un'attuazione pratica di cruciale importanza. Il mercato del lavoro di oggi non premia i meritevoli.

Non tutela i giovani ai quali offre magre prospettive di lavoro regolare e continuo, e zero strumenti per costruirsi una pensione. Frena la crescita delle imprese e la crescita professionale dei pochi laureati. Protegge quelli del posto fisso e non fa nulla per il reddito dei precari e il reinserimento dei disoccupati. E rottama ingiustamente i lavoratori cinquantenni o sessantenni che potrebbero desiderare una terza età attiva.

Potrebbe non essere così. Ma per convincere le aziende di successo - e ce ne sono - ad assumere giovani e anziani e a investire sulla crescita di nuovi lavoratori senza paura di rimanere con troppa manodopera non licenziabile in caso di congiuntura economica negativa, bisogna riprendere in mano l'idea di uno statuto dei lavori, che sostituisca lo statuto dei lavoratori, compreso il suo articolo 18. Con l'obiettivo di offrire tutele crescenti e un salario minimo differenziato per tutti, e non solo tutele totali per i fortunati del posto fisso.

L'attuazione del principio si scontra però oggi con la dura realtà dei fatti. Come si fa a liberalizzare il mercato del lavoro in un momento in cui il numero dei disoccupati sta andando verso i 2,250 milioni e quello dei cassintegrati oltre i 500mila? Liberalizzare il mercato del lavoro quando la congiuntura economica è ancora debole vuol dire rendere più facile licenziare oggi perché le aziende siano più facilmente indotte ad assumere domani.

Costi sicuri oggi in cambio di benefici incerti domani. Nessun governo e nessun sindacato che non vogliano perdere consenso e legittimità si metterebbe su questa strada al buio.
Lo statuto dei lavori ha cioè bisogno di contropartite. E qui non ci sono scorciatoie: per evitare che le aziende lasciate libere di licenziare licenzino davvero bisogna creare le condizioni per far ripartire la domanda e gli investimenti. Perché solo gli investimenti generano occupazione e crescita duratura. Era un vecchio pallino di uno dei tanti italiani andati in America a cercare successo, Franco Modigliani.

Alla vigilia dell'entrata nell'euro, Modigliani si era accorto subito che la moneta unica avrebbe tolto all'economia italiana uno strumento fondamentale di sopravvivenza, cioè la possibilità di svalutare la lira. E allora suggerì all'Europa di scambiare una maggiore flessibilità del mercato del lavoro - la flessibilità che consente di mantenere la competitività in un'unione monetaria - con più credito per le imprese e più investimenti. Più flessibilità per competere ma anche più domanda interna, per evitare che la flessibilità del mercato del lavoro si traduca in - come qualcuno direbbe oggi - "macelleria sociale".

Di questo c'è bisogno oggi per tornare a crescere: di ritornare all'idea di Modigliani, di legare la riforma del mercato del lavoro a politiche sostenibili di sostegno della domanda. Va solo timidamente in questa direzione il decreto incentivi, che è poca cosa ed è ad efficacia troppo diluita per dare una spinta sensibile agli acquisti delle famiglie.

Andrebbe in questa direzione una riforma degli ammortizzatori sociali che garantisse in modo equo e trasparente un sussidio di disoccupazione a tutti quelli che perdono il lavoro. E funzionerebbe anche l'idea della Lega di detassare gli utili per le aziende che non delocalizzano. Non si può vietare alle imprese di delocalizzare né alla Fiat di chiudere Termini Imerese. Ma il governo potrebbe premiare le aziende che creano nuova occupazione in Italia detassandone gli utili. Detassazione degli utili, non incentivi a fondo perduto per difendere con la baionetta posti di lavoro non più esistenti.

C'è qualcuno al ministero dell'Economia disponibile a rischiare un po' di capitale politico e a cercare le risorse per finanziare lo scambio di Modigliani?

8 aprile 2010
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