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IDEE / L'Italia una repubblica fondata sul complotto

di Andrea Romano

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8 dicembre 2009

C' è qualcosa di più del clamore giudiziario ad attrarci verso le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, qualcosa di più del ruolo da collaborazionista del grande crimine che il pluriomicida già affiliato al clan Graviano assegna al presidente del consiglio. Quel qualcosa è una vera e propria interpretazione della storia dell'Italia contemporanea, che cova da tempo nel nostro spirito pubblico e che oggi torniamo a riconoscere anche nell'italiano zoppicante del mafioso di Brancaccio.
Quando sostiene che all'inizio del 1994 l'intero paese sarebbe stato consegnato nelle mani della mafia da un patto tra le cosche e la nascente Forza Italia, dopo la delusione patita aPalermo per colpa di quegli inaffidabili «crasti» (in dialetto siciliano la parola sta per «cornuti») di socialisti, o quando afferma che al passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica il potere mafioso si sostituì al potere politico, Gaspare Spatuzza dà nuova voce a quella rappresentazione della nostra vicenda nazionale secondo la quale in Italia –e solo in Italia tra i grandi paesi occidentali – i processi storico- politici non sono comprensibili con gli strumenti tradizionali dell'analisi del consenso e dell'interpretazione delle scelte delle classi dirigenti.

A quegli strumenti e allo sforzo di intelligenza che la trasparenza normalmente impone dovrebbe invece essere affiancata, se non interamente sostituita, la narrazione cospirazionista di un paese nel quale le grandi opzioni sono sempre state determinate altrove: sopra di noi quando è una qualche centrale straniera a decidere le sorti dell'Italia, sotto di noi quando si tratta di grandi organizzazioni criminali che definiscono regole ed equilibri per l'ascesa di un nuovo potere politico.
È un abito sopravvissuto alle diverse stagioni della nostra storia repubblicana, trovando approdi ideologici anche molto diversi tra loro

Nelle letture neofasciste è notoriamente il patto tra Washington e cosche mafiose ad agevolare lo sbarco alleato in Sicilia e dunque il collasso del regime mussoliniano, così come per le interpretazioni nate nell'ambito della sinistra extraparlamentare, e poi traghettate nel più variopinto mondo dell'indignazione organizzata, è un unico filo nero che corre dal massacro di Portella della Ginestra alla cosca P2 a garantire la sopravvivenza del potere democristiano e la sua capacità di triangolare tra l'alleanza con la criminalità organizzata e il pilotaggio dei settori deviati dello stato.

Più di recente è stata la cultura politica di origine socialista a spiegarsi il catastrofico affondamento del Psi con le manovre dei grandi poteri finanziari internazionali: perché è noto che nel 1992 si sarebbe svolto sul panfilo Britannia, al largo di Civitavecchia, un convegno tra banchieri britannici e manager italiani dal quale sarebbe partito quell'ordine di svendita dell'industria pubblica nazionale che avrebbe finito per innescare il crollo della Prima repubblica. Si sa che ogni paese ha il cospirazionismo che si merita. E in questo senso l'Italia non sembra essere da meno degli Stati Uniti, dove lo "stile paranoico della politica" (secondo la celebre definizione che fu di Richard Hofstadter) oggi racconta di un Barack Obama nato fuori dal territorio americano e dunque privo del diritto di essere eletto alla Casa Bianca. Ma l'Italia è l'unico tra i grandi paesi occidentali dove quello stile non rimane confinato nella cassetta degli strumenti più bizzarri della scaramuccia politica o giornalistica, ma rappresenta ormai un solido binario per la narrazione della nostra storia nazionale.

E se oggi il quindicennio berlusconiano torna ad essere rappresentato come il risultato di un patto con i grandi poteri criminali, secondo una leggenda nera coltivata negli anni da qualche sparuto gruppo di fedeli al dietrologismo più hard, significa che lungo quel binario non scompare solo la nostra autonomia, ma anche la nostra intelligenza interpretativa. Ovvero la facoltà e il dovere di leggere le scelte compiute dall'Italia per quello che sono, e dunque come l'esito di una competizione politica e democratica.

8 dicembre 2009
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