Nell'Italia "in apnea" non poteva che crescere il "sommerso". E così è, stando all'ultimo rapporto del Censis, che fornisce un dato: siamo arrivati a quota 275 miliardi, il 19% del Pil.
Al di là dei tremendi e ripetuti spunti di cronaca non a caso nera (ultima la vicenda di un senegalese di 35 anni, Ibrahim M'Bodi,ucciso a Vercelli dal datore di lavoro al quale chiedeva di essere pagato dopo tre mesi che lavorava senza stipendio) la ripresa di questo fenomeno non è da sottovalutare. E certo non va derubricata con un'alzata di spalle, magari sottolineando con cinico realismo che in tempi di crisi, tutto sommato,l'economia sommersa funziona da ammortizzatore sociale naturale, sul quale è possibile chiudere un occhio (se non due).
Meglio invece tenerli aperti, gli occhi, perché siamo in presenza di una crescita - in particolare il lavoro irregolare - che si rivela una decrescita. In termini di legalità e di rapporti civili, prima di tutto, e in termini economici. Si alimenta per questa strada la concorrenza sleale tra imprese (la stragrande maggioranza delle quali, va detto, competono nel rispetto delle leggi). Si disincentiva la crescita stessa delle aziende (un'impresa sommersa può forse progettare un futuro in termini d'innovazione?). Si sottrae gettito fiscale e contributivo allo stato, con il risultato di far alzare la pressione fiscale sui contribuenti che le tasse le pagano regolarmente.
Questa ripresa del sommerso arriva dopo qualche anno di relativo ripiegamento del fenomeno, grazie alle regolarizzazioni degli stranieri. I dati ufficiali su questo fronte non sono facili da reperire e arrivano con ritardo. Le serie storiche complete della disaggregazione a livello territoriale si fermano al 2005, come fotografato dall'Istat: circa 3 milioni di lavoratori irregolari, pari al 12% del totale, di cui quasi 700mila sono lavoratori indipendenti. Il Mezzogiorno,con un tasso d'irregolarità che sfiorava il 20%, staccava la media del paese (12%) e in particolare Nord-Ovest e Nord-Est, ambedue sotto il 9 per cento. Molto basso il dato (questo del 2007) relativo alle imprese industriali e artigiane: 3,8% la quota di lavoro irregolare.
La battaglia contro l'economia sommersa passa oggi attraverso una lettura realistica (che non significa né buonista né cattivista, ma regole trasparenti, rigorose e certe) del problema dell'immigrazione, uno sforzo in più per la conoscenza dei numeri stessi che compongono il fenomeno, un uso sempre più sofisticato dell'incrocio dei dati contributivi. Ovviamente, occorre poi insistere sulla strada della semplificazione amministrativa ( più il sistema è capillarmente, occhiutamente e formalmente regolato, più cresce il sommerso). Così come non si può dimenticare che il taglio del cuneo fiscale e contributivo, rendendo le retribuzioni nette più elevate, disincentiverebbe la domanda di sommerso da parte dei lavoratori e delle imprese.
Ma niente di tutto questo potrà mai funzionare se manca una forte volontà, politica e civile, per farlo. Nel paese dove l'apertura di un "tavolo" di confronto non si nega a nessuno da nessuno, manca un tavolo, o anche solo uno sgabello dedicato, per (e contro) il sommerso, che pure vale 275 miliardi. Non vale forse la pena occuparsene?