Che non si commetta il faux pas diplomatico di chiamarle ambasciatrici. Perché, per antica consuetudine, quello è il titolo conferito alla moglie dell'ambasciatore. «Io ambasciatrice lo sono stata per dodici anni, quando mio marito era capo missione in Canada. Adesso sono ambasciatore», dice Anna Della Croce di Dojola, che nel 1967, assieme a Jolanda Brunetti, ha infranto la barriera invisibile che fino ad allora aveva impedito alle donne di entrare in diplomazia.
«Ho fatto il concorso la prima volta nel 1965, quando venni bocciata all'orale dopo aver superato lo scritto - racconta Brunetti, oggi in pensione, prima donna italiana a svolgere il ruolo di ambasciatore, nel 1980 in Birmania, e venticinque anni dopo anche a ottenerne il rango -. Ricordo ancora quale fu la domanda di storia: mi chiesero a che ora del giorno le truppe tedesche entrarono a Pilsen, in Cecoslovacchia. Erano domande fatte per bocciarci. E ricordo anche che dopo avermi bocciata un ambasciatore mi disse: "Lei è molto brava, ma noi abbiamo pensato a una cosa: voi donne in diplomazia potere entrare sposando un diplomatico, gli uomini no. Quindi abbiamo preferito dare il posto a loro"».
Le cose cambiarono solo nel concorso successivo. «Nel 1967 fu finalmente deciso di aprire anche a noi - ricorda Della Croce di Dojola -. Fu una scelta politica che Fanfani si attribuì pubblicamente. Ma arrivò tardi e per questo noi ambasciatori donne siamo ancora una piccola minoranza».
Secondo le due apripista, in Italia c'è anche un fattore culturale che spinge le donne a essere meno interessate di scandinave o anglosassoni a entrare in una carriera che richiede grossi sacrifici sul piano personale. «Ricordo che quando parlavo di entrare in diplomazia, la gente mi diceva: "Perché sprechi il tuo tempo? Non è un lavoro per donne, vai a insegnare". Ebbene, penso che sia una scelta tuttora scoraggiata da parte della società», sostiene Brunetti.
«Il nostro concorso è molto impegnativo e se si fallisce si possono perdere anni - spiega Della Croce di Dojola -. E poi, per conciliare le istanze familiari con quelle professionali, io sono dovuta andare in aspettativa per dodici anni. Anche mio marito era diplomatico, ma per noi non è stato uguale: tra i due ci ho rimesso io».
«La mia promozione ad ambasciatore provocò risentimento in alcuni colleghi maschi - sottolinea Brunetti - perché improvvisamente veniva cambiato il quadro delle possibilità: si trovavano a dover competere anche con le loro colleghe di concorso, cosa mai successa prima».
Adesso comunque molto è cambiato. «Non c'è assolutamente discriminazione a livello intellettuale - dice Della Croce di Dojola - ma rimane nei fatti. E forse alla donna si chiede qualcosa in più. Si è un po' più esigenti».
Comunque sia, non hanno dubbi sulla propria scelta professionalei: la rifarebbero senza ripensamento alcuno.