«...
PAGINA PRECEDENTE
Roth accenna un sorriso, prima di lanciare una provocazione: «Non sarei riuscito a diventare un imprenditore senza la formazione ricevuta negli anni della Ddr. A scuola ho imparato due lingue, il russo e l'inglese. Il sistema scolastico era di qualità. Erano i risultati, alla fine dell'ottava classe (la terza media in Italia, Ndr), a determinare se l'alunno sarebbe andato nelle scuole riservate alle professioni intellettuali o negli istituti professionali. Nella Ddr sopravviveva quel legame tra industria e università che fece il successo della rivoluzione industriale tedesca e che mi permise di specializzarmi nei semiconduttori».
Chissà se i ricordi di Dietmar Roth sono annebbiati da un ultimo ventennio di grande successo nella nuova Germania capitalistica? Forse; ma non è un caso se nel simbolo della Germania Est non c'era la falce, ma il compasso. In un libro del 2002, Das know-how, das aus dem Osten kam (Il know-how che venne dall'Est), Hermann Golle, che come Roth è nato in Sassonia e ha vissuto nella Rdt, racconta di come centinaia di aziende tedesco-orientali nel secondo dopoguerra e fino agli anni 60 furono trasferite armi e bagagli a Ovest, vuoi attraverso lo smontaggio e il trasloco di intere fabbriche, vuoi grazie alla semplice emigrazione di ingegneri e imprenditori.
«L'aspetto più difficile della mia transizione alla democrazia è stato abituarsi al mercato - conclude Roth, nominato imprenditore dell'anno 2009 dalla Ernst & Young insieme agli altri dirigenti della società - non ho fatto alcun Mba: il mio è stato un learning by doing, imparare facendo. Ho dovuto imparare non tanto gli aspetti tecnici quanto a capire i desideri del consumatore, cosa potesse essere di interesse e come offrire il nostro prodotto. In un'economia pianificata come quella comunista sono concetti che non esistono e che ho iniziato a maneggiare all'età di 40 anni. Ho imparato a prendere rischi finanziari che prima non avevo mai preso: una sfida umana più che economica».
La vita di Roth è certamente particolare. Forse non era membro della Nomenklatura, ma certo era un esponente dell'intellighenzia. «La mia esperienza mi dice che non tutto nella Ddr era da buttare. Anzi, credo che la relazione tra università e industria allora dominante dovrebbe essere presa a modello nella Repubblica federale». Quanto del successo del solare a Hohenstein-Ernsttahl, dell'eolico a Rostock, della micro-elettronica a Dresda, dell'industria chimica a Wolfen è da attribuire al vecchio tessuto economico comunista e prima ancora guglielmino? Neppure Roth osa rispondere. Si limita a dire: «Sul futuro dei Länder orientali sono ottimista».