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Ammiro Soros ma non capisco il furore dell'etica

di Alessandro De Nicola

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8 novembre 2009

Mai come in questo periodo impazza il dibattito su l'interazione tra etica ed economia e su come la prima dovrebbe mitigare le conseguenze delle inesorabili leggi del mercato. In questo dibattito si è inserito con molta energia George Soros, il famoso finanziere di origine ungherese, filantropo e attivista sociale. Premetto che a me Soros è simpatico, non solo perché ne ammiro le capacità professionali e l'impegno che ha profuso per aiutare la crescita di una società civile nei paesi dell'Est Europa, ma anche perché è l'incarnazione di quel simpatico detto napoletano di chi chiagne e f..., fa, diciamo che fa.. Il paradigma dello speculatore, aborrito dagli antimercatisti di tutto il mondo, è diventato infatti un fervente critico di quello che lui chiama "market fundamentalism" contro il quale scrive libri e tiene conferenze, l'ultima delle quali «Capitalism versus Open Society» risale a una settimana fa.

La riflessione del finanziere è interessante poiché rispecchia un filone di pensiero che sembra oggi prevalere. In sintesi: capitalismo e società aperta sono configgenti. La ragione è che i fondamentalisti di mercato ritengono che lo stesso sia perfetto e scevro da scelte di valore: pecunia non olet, dicevano i romani. Ciò che funziona per l'economia dovrebbe andar bene anche alle istituzioni, dunque: peccato che in realtà nelle scelte dei politici i valori contano eccome; il problema è che sono corrotti dagli interessi economici particolari che dovrebbero invece tenere a bada (Soros lo chiama il problema principal-agent, essendo il politico l'agente che cura i suoi comodi). Estendere i principi di mercato alla politica è quindi dannosissimo, perché rimuove i principi etici su cui essa si dovrebbe basare e colpevole di questa applicazione dell'amoralità delle scelte economiche alle politiche pubbliche è proprio la teoria dei mercati efficienti, per la quale chi opera nel mercato compie sempre la scelta più efficiente sulla base delle informazioni disponibili, mentre - a parere di Soros - gli individui dovrebbero riconoscere la dicotomia tra sfera pubblica ed economica e attenersi al principio dell'interesse generale nel primo caso e del profitto personale nel secondo. Questo è ciò che ho cercato di fare nella mia vita, conclude orgoglioso il finanziere, e perciò, ad esempio, sono a favore della regolamentazione degli hedge fund contro la mia stessa convenienza.

Credo che il ragionamento faccia confusione. Prima di tutto, io di questi "fondamentalisti del mercato" che pensino allo stesso modo descritto da Soros non ne conosco e, se esistono, sono certamente marginali. Inoltre è la teoria degli economisti liberisti di Public choice che per prima ha individuato la grande questione dei politici che perseguono in primis il loro interesse personale e dei gruppi di pressione che li eleggono, allargando sempre più la sfera dei loro poteri e dimenticandosi dell'interesse generale. Ma tale situazione mette a rischio il mercato, non lo fortifica! Infatti, Buchanan e amici propugnano delle Costituzioni che proteggano i diritti individuali in modo "blindato" proprio per preservarli dall'ingerenza dei politici. Anzi, la libertà economica, come capirono i protestanti della Riforma, rafforza l'etica individuale del duro lavoro, onestà e reputazione.
Insomma, l'ansia di eticità di Soros è commendevole, ma assomiglia a una di quelle tante esortazioni all'onestà che fan sentire bene ma non risolvono i problemi.

comadenicola@adamsmith.it

8 novembre 2009
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