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IL SINODO DEI VESCOVI / La doppia strada della Chiesa africana

di Giancarlo Zizola

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8 Ottobre 2009

È normale osservare nel pontificato di Benedetto XVI una premura costante affinché il primato dello Spirituale nella Chiesa cattolica possa intercettare le sue mai debellate escursioni politiche, senza disinteressarsi delle sorti di chi soffre. Il secondo sinodo africano dei vescovi interviene con una variabile istituzionale: il suo tema non potrebbe essere più esplicitamente "secolare", se mette in primo piano il servizio della Chiesa alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace in Africa. Il programma sarebbe stato gradito ai "teologi della liberazione" anche africani, a preferenza di preoccupazioni di stampo ecclesiocentrico, e che era nel cuore di leader politici cristiani già negli anni 70, quando Julius Nyerere esortava la Chiesa a diventare «una forza per la giustizia sociale per condurre gli uomini a Dio e promuovere l'amore».
Le encicliche di Ratzinger testimoniano che il pontefice è d'accordo con il presidente della Tanzania: la santità esige una Chiesa coinvolta nell'emancipazione dalla miseria. La sua ansia per l'Africa si è manifestata nella lettera del 16 dicembre 2006 ad Angela Merkel per esortarla a considerare prioritari lo sviluppo e le sfide del continente africano. Il papa parlava di «un dovere morale grave e incondizionato» di assumere misure per condizioni commerciali favorevoli e per una cancellazione «completa e incondizionata» del debito estero dei paesi poveri.
Il sinodo africano è considerato un passaggio importante per trasformare la Chiesa cattolica africana in una forza di pressione per il raggiungimento degli obiettivi. Chiama in causa individualismo, fondamentalismo e materialismo dell'Occidente e lascia irrisolte questioni che gli africani rivolgono al Vaticano affinché si liberi del suo ostinato centralismo eurocentrico. Vescovi, missionari, suore, teologi africani riaprono il quesito: come la Chiesa potrebbe combattere le nuove e più insidiose forme di colonialismo economico-culturale-politico che schiacciano l'Africa senza adottare misure di riforma tali da favorire il processo di inculturazione africana del messaggio evangelico e riconoscere alle chiese locali autonomie sufficienti per camminare da sole. I progressi numerici del cattolicesimo africano sono stupefacenti, ma si ha l'impressione che, esaurita la spinta utopica del Concilio africano degli anni 80, la Chiesa continentale sia in panne. Il sinodo africano del 1994 aveva affrontato le sfide del rinnovamento e Papa Wojtyla aveva appoggiato con l'Istruzione post-sinodale "Ecclesia in Africa" le riforme, riguardanti il matrimonio canonico in forma africana, un diritto canonico africano, il dialogo con le religioni tradizionali, teologia e liturgia africane, la povertà della Chiesa come via principale della credibilità dell'annuncio cristiano ai poveri e il suo porsi come fermento profetico verso i ceti dominanti.
Da allora, nessuna riforma ha fatto un passo. Romanamente normalizzato, l'istituto sinodale non ne ha guadagnato in credibilità. Eppure era e continua a essere ritenuto coi suoi limiti uno strumento utile per una gestione equilibrata e collegiale del cambiamento che sta lavorando nel profondo il fenomeno cristiano.
È la forma meridionale che va assumendo la Chiesa cattolica, col 74% dei suoi seguaci che abitano nelle aree del Sud mondiale (quasi 165 milioni solo in Africa, il 18,9% dei cattolici del mondo): oltre a produrre una "teologia della subalternità", questo rovesciamento sociologico della mappa eurocentrica della Chiesa ha trasmesso una tensione crescente alla struttura organizzativa e culturale della fede cattolica, tuttora egemonizzata dalla sintesi con la cultura occidentale. Wojtyla ha cercato una soluzione coi suoi viaggi, ma la curia romana ha tirato i freni sull'inculturazione e le autonomie, ripotenziando la politica centralista. Ora spinge la Chiesa africana verso l'investimento in ruoli umanitari, per essere agente di cambiamento sociale, prima che il lavoro sulla sua identità culturale e spirituale sia almeno affrontato. Un'asimmetria che potrebbe essere un fattore di indebolimento per la capacità direzionale del papato in un contesto globale.

8 Ottobre 2009
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