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PIANETA ISTRUZIONE / La strada senza uscita dei docenti tutti abilitati

di Giunio Luzzatto

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9 agosto 2009

Alla ripresa dopo le ferie giungerà all'esame delle Commissioni parlamentari Istruzione un provvedimento che disciplina una questione decisiva per il sistema scolastico, la formazione di tutti i futuri insegnanti; acquisito il parere, non vincolante, di tali Commissioni, il governo adotterà con decreto il Regolamento in oggetto.

Che nasce tuttavia monco, rispetto alla norma della Finanziaria 2008 che lo ha previsto. Avrebbe dovuto disciplinare congiuntamente la formazione iniziale degli insegnanti e le modalità per il loro reclutamento; il secondo tema è però qui assente (è previsto che sia trattato nell'ambito di un progetto di legge Aprea, la cui discussione è appena iniziata e che dovrà percorrere l'intero iter parlamentare delle leggi ordinarie).
Viene così perpetuato un vizio antico del nostro sistema: proprio la mancata contestualità delle decisioni su formazione e reclutamento ha determinato il formarsi di un precariato che può giungere al 20% dell'organico, e conseguentemente di vasti gruppi che premono per procedure riservate di assunzione definitiva.

Il provvedimento differenzia nettamente scuola primaria e scuola secondaria. La soluzione per gli insegnanti primari non presenta particolari problemi; li presenta invece, e gravi, per gli insegnanti secondari. Per il loro percorso formativo si era determinata una durata di 7 anni, del tutto insensata; ciò perché la scuola di specializzazione biennale Ssis è stata istituita dieci anni fa in successione alla vecchia laurea quadriennale, ma quando si è passati al sistema "3+2" non si è provveduto al necessario raccordo.
La Ssis viene ora sostituita da un anno di formazione didattica, denominato Tirocinio formativo attivo (Tfa) anche se il tirocinio scolastico occupa meno di un terzo del relativo curricolo. Al Tfa si accede con la generica Laurea magistrale in una disciplina (solo tra molti anni sarà forse attivato un indirizzo parzialmente orientato alla didattica).

Si ha perciò un quinquennio di preparazione sui contenuti e solo un anno di formazione alla professione docente; in questo si accatastano, oltre al già ricordato tirocinio, sia didattica della disciplina e correlati laboratori didattici, sia tematiche educative complessive (psicologia e pedagogia generali, sociologia dell'educazione, tecnologie didattiche).
Il percorso appare eccessivamente sbilanciato in direzione accademico-disciplinare, mentre tutte le indicazioni dall'Europa (dove si prevedono 5 anni, non 6) evidenziano per l'insegnante la crescente rilevanza di competenze "trasversali", per la cui acquisizione occorrono tempi adeguati; nella knowledge society è fondamentale che il docente sappia creare un ambiente educativo valido lavorando in gruppo con i colleghi, motivare i giovani all'apprendimento, stimolare in essi una mentalità critica.

In teoria, l'ammissione al Tfa dovrebbe avvenire a numero programmato, con preciso riferimento ai numeri di nuovi insegnanti necessari per le diverse discipline; ma le "Norme transitorie" cancellano tale riferimento, ammettendo in soprannumero gli appartenenti a numerose categorie (per meriti scientifici, i dottori o assegnisti di ricerca; per esperienze di servizio, i supplenti non abilitati con 360 giorni di attività). Tutte queste persone continuerebbero inoltre, durante l'anno di formazione, il proprio lavoro, sicché il Tfa sarebbe una specie di scuola serale, con i propri frequentanti impegnati in altro. Sarebbe questa la rivalutazione del merito, a parole propagandata?
Se non si prevede un ingresso rigorosamente programmato, con prove nelle quali ovviamente chi ha cultura ed esperienza può far valere tali qualità, si formerà una fascia, estremamente vasta, di abilitati in lista d'attesa, e il "nuovo" sistema nascerà contaminato in partenza dal più grave inconveniente del vecchio. Che senso ha moltiplicare demagogicamente (todos habilitados) gli aspiranti a posti di insegnamento che vengono al tempo stesso ridotti?

9 agosto 2009
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