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L'industria che fu si è fermata a Piombino

di Valerio Castronovo

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9 aprile 2010

Dopo la cessione in marzo dell'ultimo 20% di azioni in possesso della famiglia Lucchini al gruppo Severstal, ci si chiede se il magnate dell'acciaio Alexej Mordashov non finirà, col prolungarsi della crisi, per chiudere lo stabilimento di Piombino rivendendolo al miglior offerente. Sebbene non sia stato disdetto il piano pluriennale d'investimenti annunciato per una riqualificazione ambientale e una nuova linea di produzione di laminati, dall'autunno 2008 si lavora a Piombino al di sotto della capacità degli impianti e con debiti.

C'è il rischio che scompaia un complesso che ha avuto un ruolo rilevante nel decollo e negli sviluppi dell'industria italiana. Nato nel 1865 (Officine Perseveranza), è stato attivato un decennio dopo, con i primi forni Martin-Siemens in Italia. Le fortune dello stabilimento (dal 1897 Altiforni e Fonderie di Piombino) si dovevano all'utilizzo del ferro dell'Elba e delle miniere calcaree di Campiglia. A dargli spinta decisiva era stato il varo, nel 1887, del regime protezionistico a favore di un settore strategico come quello siderurgico. Senza una robusta produzione nazionale di ghisa e acciaio, l'Italia avrebbe tirato avanti in condizioni di "sovranità limitata" anche sul piano politico, dovendo dipendere, per armamenti e cantieri navali, dalle forniture dei maggiori gruppi stranieri e dal beneplacito di quei governi.
Nel 1903, lo stabilimento (passato sotto il controllo della banca livornese Bondi) aveva messo in funzione un impianto a ciclo integrale per la produzione di ghisa; sue erano state le prime rotaie fabbricate in Italia per le ferrovie.

La produzione siderurgica dal minerale in altoforni a coke, rispetto a quella tradizionale dal rottame, non fu un parto indolore: i costi erano più elevati rispetto a quelli tedeschi, inglesi o francesi. Nel 1911 fu necessario concentrare in un unico cartello l'attività produttiva e commerciale sia dello stabilimento di Piombino che di altri complessi (come quelli dell'Elba, delle Ferriere Italiane, della Siderurgica di Savona e dell'Ilva, affidando a quest'ultima società la gestione coordinata del consorzio).

Grazie all'accorpamento, fu possibile durante la Grande guerra coprire gran parte della produzione siderurgica d'impiego bellico. Finito il conflitto, l'Ilva (che dal 1918 faceva capo a Max Bondi) sarebbe crollata se a salvarla non fossero intervenuti nel 1921 la Commerciale e il Credito italiano, che ottennero in cambio dal governo un inasprimento delle tariffe doganali e un vasto programma di commesse pubbliche. Tutto ciò valse a tenerla in vita sino allo scoppio della crisi del 1929: dopo, per scongiurare il crollo dell'Ilva, non restò che il passaggio all'Iri, che avvenne nel 1936.

Così lo stabilimento di Piombino entrò a far parte della Finsider. La sua sorte parve compromessa dopo che nel 1944 i tedeschi, in ritirata dalla Toscana, fecero saltare gli impianti. Solo dopo una faticosa ricostruzione nel dopoguerra, tornò a funzionare specializzandosi nella fabbricazione di profilati pesanti, per passare nel 1971 sotto le insegne di una società di cui Finsider e Fiat erano i principali azionisti. Da allora, e soprattutto negli anni 80 (dopo la concentrazione nella produzione di vergelle e acciai speciali), notevoli furono i progressi dell'azienda: contò oltre 10mila dipendenti.

Dopo la privatizzazione nel 1992 dell'Iri, fu la Lucchini, la "monarchia del tondino", a promuovere, prima, una joint-venture con l'Ilva, per poi assumere, tre anni dopo, la gestione della Piombino che (aggregata dal 1999 a quella della Ascometal, acquisita nel 1999 dal gruppo bresciano) divenne leader europeo nei "prodotti lunghi speciali".

Sembrava che le tante vicissitudini del passato fossero terminate. Invece, dopo il passaggio nell'aprile 2005 della maggioranza azionaria dalla Lucchini al colosso russo Severstal, il suo destino pare tornato in alto mare.

9 aprile 2010
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